Mario Vargas Llosa ci dedica il suo silenzio. Per Luigi de Pierris

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A circa un anno dalla pubblicazione dell’edizione originale in spagnolo presso Alfaguara (ottobre 2023), esce finalmente in Italia, nella traduzione di Federica Niola per i tipi di Einaudi, Le dedico il mio silenzio, l’ultimo romanzo di Mario Vargas Llosa, scrittore peruviano premio Nobel per la letteratura nel 2010.

In un Post Scriptum, L’Autore ci informa che questo romanzo è l’ultimo atto del suo percorso di narratore.  È importante sottolineare sin da subito questa circostanza, che non può non rattristare i tanti estimatori di Mario Vargas Llosa, anche perché il titolo stesso scelto dall’Autore sembra fornire una possibile chiave di lettura del nuovo romanzo: Le dedico il mio silenzio, pur essendo un libro perfettamente compiuto, è il capitolo finale di un opus che si compone di 20 romanzi.

I lettori che, nel corso degli anni, hanno imparato a riconoscere i temi e le tecniche narrative di Vargas Llosa si ritroveranno quindi in un terreno familiare – benché questo romanzo abbia una sua dignità e addirittura una sua originalità rispetto ai 19 precedenti – e non potranno evitare di fare paralleli e confronti con gli altri romanzi e con i loro personaggi.

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Il protagonista di Le dedico il mio silenzio è Toño Azpilcueta, un influente critico di musica popolare peruviana.  Toño è apprezzato nell’ambiente dei cultori del genere, che tuttavia è troppo ristretto per consentirgli di ricavare adeguati guadagni dalla sua attività di pubblicista.

Durante una serata musicale in una casa privata del centro storico di Lima, Toño assiste ad un’esibizione di Lalo Molfino, un chitarrista sconosciuto ma di straordinario talento.  La serata gli lascia una forte impressione ed il desiderio di seguire gli sviluppi della carriera dello strumentista. I suoi buoni propositi non potranno però realizzarsi: poche settimane dopo, Toño riceve la notizia della morte di Lalo Molfino e della sua sepoltura in una fossa comune.

Questo evento tragico diventa il punto di svolta della sua vita. Azpilcueta si convince che Lalo Molfino è stato un artista che merita di essere riconosciuto come un grande peruviano, invece di essere dimenticato per sempre. Tocca quindi a lui immortalarne la memoria scrivendo un libro biografico. È una missione che Toño sente come irrinunciabile.  D’altronde, come osserva lo stesso Mario Vargas Llosa in un’intervista al quotidiano peruviano El Comercio: «Chi altro scriverebbe di Lalo Molfino, se non Toño?”

Azpilcueta inizia la sua attività di biografo con diligenza, passione e onestà intellettuale. Mai si accontenterebbe di un lavoro superficiale o non rispettoso della verità dei fatti.

Le sue indagini lo porteranno in viaggio verso il nord del Perù, alla ricerca delle origini e delle esperienze giovanili di Lalo nella regione di Chiclayo.  Andando avanti nella preparazione del lavoro, Toño decide di scrivere un libro più ambizioso di una semplice biografia: invece di limitarsi ad un resoconto della vita dell’artista, il libro racconterà anche la storia della musica popolare peruviana (valse criollo, bolero, marineras).  Toño ha infatti maturato il convincimento che la musica popolare peruviana può essere l’humus, il terreno comune in cui tutti i peruviani (dai più ricchi fino ai più poveri) possono riconoscersi come parte della stessa nazione.  Nella sua visione, l’individuazione di un elemento culturale unificante sarebbe un grande vettore di progresso per un paese che, nonostante abbia due secoli di indipendenza, ha ancora oggi una assai scarsa coesione sociale.

Dopo aver ricevuto vari rifiuti, Toño riuscirà a pubblicare il suo manoscritto grazie al coraggio di un libraio/editore indipendente di ampia visione e apertura intellettuale. Questo coraggio verrà ripagato da un inatteso successo di vendite, permettendo ad Azpilcueta di ottenere una cattedra universitaria e perfino inviti come conferenziere all’estero.

Il momento magico di Toño Azpilcueta si rivela tuttavia effimero: esauritasi la prima edizione, Toño decide di riformare profondamente la struttura del libro prima di mandarne in stampa una seconda.  Raccontare la storia di Lalo Molfino è diventato per lui quasi un obiettivo secondario: adesso gli preme sviluppare la sua teoria riguardo al potere della musica popolare peruviana di cambiare radicalmente, ed in meglio, la società peruviana.

Le conseguenze di questa decisione saranno doppiamente catastrofiche: a causa della riscrittura, la seconda edizione non potrà essere disponibile in libreria in tempi brevi, quando invece sarebbe andata a ruba, consolidando il suo successo.  Inoltre, la nuova edizione riformata non piacerà per nulla ai lettori e resterà in larga parte invenduta sugli scaffali delle librerie, ponendo fine alla carriera letteraria di Azpilcueta ed alle sue speranze di ascesa sociale.  Toño cadrà quindi in disgrazia e perderà anche il suo incarico in università.

Cionondimeno, Toño troverà le energie e le motivazioni per risollevarsi, liberandosi dai fantasmi e dalle ossessioni che avevano accompagnato la sua vita.  La scena finale del libro lo vede in un caffè di Lima in compagnia di Cecilia Barraza, cantante-icona della musica popolare peruviana e oggetto del suo amore platonico, che gli manifesta la sua approvazione nonostante le disavventure subite.

Vargas Llosa non lo dice esplicitamente, ma noi lettori non fatichiamo a capirlo: Toño non è un perdente, ma un vincente.  La sua onestà intellettuale, la sua integrità ed il suo spirito di servizio di fronte alla missione che si è assegnato fanno di lui un uomo puro e degno di ammirazione.

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Quello che “fa” un romanzo sono i suoi personaggi.  Cosa sarebbe Guerra e pace senza il Principe Andrea?  Cosa sarebbe Cent’anni di solitudine senza il colonnello Aureliano Buendía?

Il protagonista di questo romanzo è Toño Azpilcueta. Un uomo umile, povero e senza alcun carisma.  Quasi trascurabile. Ma Toño Azpilcueta è anche uno che si dedica senza riserve alle sue passioni e ai suoi interessi artistici e culturali. Un uomo puro che non accetta mediazioni. E, soprattutto, uno disposto a subire in prima persona le conseguenze della difesa dei propri principi.

Per citare il titolo di un altro recente romanzo (2013) di Mario Vargas Llosa, Toño è un “eroe discreto”. Ma, a differenza di Felícito Yanaqué – il protagonista del romanzo del 2013 – Toño è anche qualcosa di più: Toño è un narratore, un uomo che – a un certo punto della sua vita – sente il bisogno di raccontare una storia.

In effetti, Azpilcueta potrebbe benissimo essere una proiezione dello stesso autore. “Nei saggi scritti da Azpilcueta che compaiono nel romanzo c’è qualcosa di Lei?”, gli ha chiesto il quotidiano peruviano El Comercio in un’intervista.  La risposta dell’Autore è chiara: “Mi fa piacere che mi faccia questa domanda: nel personaggio di Azpilcueta c’è molto di me. Mi identifico con lui e mi emoziona immaginarlo mentre scrive quei piccoli articoli.»

E, più avanti nella stessa intervista, lo stesso Vargas Llosa ci spiega: “Senza dubbio, c’è qualcosa di eroico in quello che fa Azpilcueta: si dedica alla sua vocazione senza paura di fallire. Sono molto affezionato a questo personaggio e penso che sia uno dei miei preferiti tra tutti i miei libri.»

È difficile per un autore dare più apertamente la chiave per comprendere un personaggio. Azpilcueta non solo incarna il motto di Gabriel Garcia Márquez “Vivi per raccontarlo”, ma dimostra anche che è anche vero il contrario: “Raccontalo per vivere”. Se Toño non avesse mai incontrato Lalo Molfino e non avesse ceduto al bisogno di scrivere di lui, la sua vita non sarebbe stata completa.

Per Azpilcueta l’integrità vale più della convenienza. Ha ottenuto un inatteso successo commerciale con la prima edizione del suo libro, quindi la stampa di una seconda edizione senza grandi modifiche consoliderebbe la sua reputazione. Tuttavia, Toño non vuole venire meno a quello che ritiene essere suo dovere: sviluppare la teoria secondo cui la musica popolare può diventare il fattore di coesione della società peruviana, superando i problemi sociali che hanno afflitto il Paese nella sua storia bicentenaria. A nulla servono le obiezioni del suo editore, che comprende benissimo i rischi di rinviare la distribuzione della seconda edizione del libro e tuttavia cede alla determinazione di Azpilcueta. Toño si prenderà tutto il tempo necessario per modificare il libro secondo come adesso ritiene necessario, anche se questa decisione avrà conseguenze disastrose per lui e il suo editore.

Malgrado tutto, nel capitolo finale troviamo un Azpilcueta rasserenato, libero dai suoi fantasmi e soddisfatto di aver agito con integrità, senza alcun rimorso per aver messo da parte le proprie convenienze per fare quello che riteneva fosse il suo dovere.

Ciò gli merita l’approvazione di Cecilia Barraza, che simboleggia e incarna i valori positivi ambiti dall’uomo giusto. E l’approvazione di Cecilia – proiezione della sua propria coscienza – è tutto ciò di cui Toño ha bisogno.

Lalo Molfino simboleggia il mistero del talento, che può nascere dove meno te lo aspetti. Scopriamo infatti che Lalo è nato in una discarica di rifiuti e che – proprio come Mozart, il lettore amante della musica potrebbe pensare – è stato sepolto in una fossa comune.

In giovanissima età, Lalo rivela il suo talento di straordinario virtuoso della chitarra, nonostante le sue apparenze di uomo men che ordinario.   Ma Lalo è soprattutto un uomo integro che disprezza le comodità materiali e agisce secondo le proprie convinzioni.  Nel bene e nel male: durante le sue esibizioni in Cile con il gruppo Perú Negro poco prima di morire, Lalo non si astiene da fare capricci da primadonna, che contribuiranno in modo determinante all’insuccesso della tournée – e poco dopo al compimento del suo triste destino di grande talento artistico che perde la vita prima di raggiungere la maturità e la fama che avrebbe meritato.

Cecilia Barraza è una persona realmente esistente, una cantante popolare di successo ancora in attività in Perù. Tuttavia– nella stessa intervista a El Comercio – lo stesso Mario Vargas Llosa ci avverte che nel romanzo Cecilia è un personaggio imaginario che non si identifica necessariamente con la persona reale: “La narrativa è finzione, anche quando usa nomi veri”.  La cosa curiosa è che in questo libro Cecilia fa la sua terza apparizione nei romanzi di Vargas Llosa – dopo Avventure della ragazza cattiva (2006) e L’eroe discreto (2013).

In Le dedico il mio silenzio Cecilia assume il ruolo di musa e confidente di Toño, diventando una sorta di sua coscienza critica e depositaria dei suoi valori etici. Una sorta di versione femminile e laica dell’angelo custode della tradizione cristiana.

Da notare anche che Cecilia è la dedicataria del “silenzio” del titolo.  Nel libro la frase è pronunciata da Lalo Molfino, che – come Azpilcueta – non è insensibile al fascino della cantante.

Restano da menzionare Toni Lagarde e Lala Solórzano. Toni – proveniente da una famiglia alto-borghese – e Lala – nata nei quartieri poveri – sono protagonisti di una storia d’amore che, nonostante le enormi differenze sociali, non ha conosciuto alcuna crisi nel corso dei decenni. Toni e Lala sembrano la prova vivente che la speranza di Toño di superare le differenze tra classi e razze in Perù non è una visione utopica. Come Toño, Toni e Lala si caratterizzano per la loro purezza e la loro indifferenza alle convenzioni sociali.

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La struttura di questo romanzo si basa sulla giustapposizione, in capitoli alternati, di due livelli di narrazione: da un lato il racconto della vita di Azpilcueta, dall’altro una sorta di saggio sulla musica popolare peruviana, ostensibilmente quello scritto dallo stesso Azpilcueta. Non è la prima volta che Vargas Llosa utilizza questa struttura nei suoi romanzi: non può fare a meno di pensare a una delle sue opere più conosciute e di successo, La zia Julia e lo scribacchino (1977).

Dal punto di vista di chi scrive queste righe, in quest’ultimo romanzo la giustapposizione dei piani narrativi dà un risultato tecnico buono, ma non ottimo. La parte saggistica, pur funzionale allo sviluppo della trama narrativa – e soprattutto all’esposizione della teoria secondo cui la musica popolare peruviana è un elemento di unificazione tra tutti gli strati sociali del Perù – è talvolta un po’ anonima e meno interessante della parte in cui si raccontano le vicende di Toño e Lalo.

Anche in questo libro l’Autore si avvale, con la maestria che conosciamo, della tecnica del flashback, nella quale l’uso del discorso indiretto si alterna con discorso diretto, con l’effetto di mettere il lettore in contatto diretto con gli avvenimenti senza la mediazione del “narratore”. Vargas Llosa ha sviluppato questa tecnica a partire da Conversazione nella cattedrale (1969) – libro che, secondo chi scrive, rimane il suo capolavoro – e ha continuato a perfezionarla nel corso degli altri suoi romanzi.

Nonostante non sia inedita, questa tecnica riesce sempre a coinvolgere il lettore. In Le dedico il mio silenzio, tuttavia, il ricorso ai flashback è limitato quasi esclusivamente alle parti che fanno riferimento alla vita di Lalo Molfino. È come se l’autore non volesse rendersi troppo prevedibile, come senza dubbio accadrebbe se continuasse a ripetere i suoi stilemi senza prendersi la briga di introdurvi qualche variante.

Potremmo fare una considerazione simile anche in merito alla scelta dei personaggi. Sappiamo tutti che la comparsa dello stesso personaggio in romanzi diverse, alla maniera di Balzac, è una caratteristica della narrativa di Mario Vargas Llosa. Tuttavia, in questo romanzo – ad eccezione di Cecilia Barraza – tutti i personaggi compaiono per la prima volta nelle opere di questo autore.

Spicca l’assenza del sergente Lituma, personaggio che appare in molti romanzi a partire da La casa verde (1966) e che, secondo quanto mi raccontò lo stesso Vargas Llosa in una conversazione privata avuta con lui a Londra tanti anni fa, rappresenta l’uomo umile ma onesto e degno di rispetto. Il lettore più attento noterà tuttavia che il personaggio di Pedro Caballero – il poliziotto in pensione che aiuta Toño nelle sue indagini su Lalo Molfino nel nord del Paese – presenta molte similarità con Lituma.

Altro filo conduttore del romanzo è il tema del carattere nazionale dei peruviani, cui l’Autore fa riferimento con la intraducibile parola huachafería.  Secondo lo stesso Mario Vargas Llosa, la huachaferia è il “modo di relazionarsi, di cantare, di parlare, di fare politica, di godere, di soffrire” dei peruviani, che diventa un secondo elemento unificante per tutti i peruviani: “La huachafería è l’aria che respiriamo noi peruviani; (…) la huachafería è un’espressione profondamente peruviana in cui si riuniscono bambini benestanti e ragazzi dei quartieri; (…) la huachafería esprime profondamente l’anima nazionale.”

Le pagine che sviluppano questo argomento sono sicuramente più godibili per il lettore peruviano che per i lettori esteri, che probabilmente troveranno questo tema un po’ esoterico e difficile da comprendere in tutte le sue implicazioni. Tuttavia, il tema della huachafería fa da controcanto a quello della musica popolare: è parte dell’appassionata ricerca di un terreno comune che possa finalmente unire – anziché separare – tutti i peruviani.

Un’ambizione sentitissima da un fervente patriota come Mario Vargas Llosa – che, come tutti sappiamo, si candidò addirittura alla presidenza del Perù.  Si tratta però di un’ambizione che resta irrealizzata. La fatidica domanda che Vargas Llosa fa esprimere al suo personaggio Zavalita nel romanzo Conversazione nella cattedrale (1969) – “In quale momento il Perù si è fregato?” – non ha ancora una risposta.

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Con Le dedico il mio silenzio Mario Vargas Llosa si congeda da noi, suoi appassionati e fedeli lettori. È un romanzo che ci diverte, ci fa riflettere e ci emoziona. Non sarà forse il suo capolavoro, ma è un libro che nasce dal sincero desiderio dell’autore di raccontarci una storia, e di farlo nel migliore dei modi, con la sapienza e l’arte di un raffinato compositore che scrive meticolosamente una nuova partitura musicale.

Come Toño Azpilcueta, anche in questo romanzo Mario Vargas Llosa si è dedicato senza risparmio alla sua missione di narratore. Ma, a differenza di Toño Azpilcueta, con enorme talento.  Noi lettori ringraziamo questo grande maestro per tutto quello che ha scritto nel corso della sua lunga carriera e, come se fossimo tutti Cecilia Barraza, accettiamo con affetto e commozione che ci dedichi suo silenzio.