Papa Francesco, l’inverno demografico e le nostre fragili relazioni

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Nel 2021 in Italia le nascite sono scese sotto la soglia delle 400mila unità. Mariolina Ceriotti Migliarese, neuropsichiatra infantile e psicoterapeuta: «Siamo diventati un Paese molto individualista»

Siamo sicuri di essere troppi su questo pianeta? Secondo l’ISTAT i dati sul declino demografico in Occidente sono raccapriccianti e in controtendenza. Nel 2021 in Italia le nascite sono scese sotto la soglia delle 400mila unità. Le prime crepe demografiche, sottovalutate, si facevano già vedere all’inizio degli anni ’90; attualmente siamo scesi sotto un figlio e mezzo per donna, anzi più uno che due, distanziando una generazione dall’altra. E la pandemia in tutto questo ha imposto una forte accelerazione all’andamento della denatalità. Nel 2030 gli alunni delle scuole italiane saranno 500mila meno di oggi, che corrispondono su per giù ad un taglio di 25mila classi e 50mila docenti. Inoltre il report ci pone questionamenti banali come per esempio “Chi pagherà le pensioni del futuro se non ci sono giovani? Ha senso investire nella digitalizzazione se non ci sono nativi digitali? Il nostro paese è molto lontano dall’Italia degli anni ’60, quando le nascite arrivavano a toccare il picco di un milione di nuovi nati all’anno. Una ruota che rotola progressivamente sempre più in basso. Ma in fondo c’è anche un’altra questione: la realtà è che siamo diventati più impazienti, non siamo più in grado di progettare e aspettare, se non ciò che potremmo vedere e raccogliere nell’immediato.

“Le persone, passando da una relazione affettiva ad un’altra – in Amoris Laetitia – credono che l’amore, come nelle reti sociali, si possa connettere o disconnettere a piacimento del consumatore”. “Così ammonisce Papa Francescol’Europa sta diventando il vecchio Continente non più per la sua gloriosa storia, ma per la sua età avanzata”. Un tempo fare figli era una ricchezza, oggi è diventato un lusso; la perdita di lavoro e la mancanza di politiche lungimiranti che riguardano l’intero paese mette in difficoltà i giovani, che sognano e fanno lo sforzo di costruire un futuro, ma che “si sentono abbandonati per il disinteresse e la poca attenzione delle istituzioni”. Crisi demografica e difficoltà educative sono solo la punta di un iceberg in cui lo Stato è chiamato a creare “le condizioni legislative e di lavoro per garantire l’avvenire dei giovani e aiutarli a realizzare il loro progetto familiare”. Quindi la natalità diventa la nuova questione sociale, tema che unisce e non divide, ma che riguarda tutti. In tutto ciò il dato positivo c’è: i giovani desiderano avere figli! Prendersi cura di questa cellula così importante è ultima spiaggia e unica speranza, luce per il futuro, opportunità di riscatto per il nostro Stivale, come quando l’Europa usciva dalle due guerre superando le criticità con prospettiva.

Abbiamo intervistato la neuropsichiatra infantile e psicoterapeuta Dott.ssa Mariolina Ceriotti Migliarese, moglie e madre di sei figli, autrice del libro: “La Famiglia imperfetta”, “Risposami” e “L’alfabeto degli affetti”.

 Dott.ssa Migliarese siamo arrivati ad un bivio. Cosa è successo in questi ultimi 40 anni in Italia?

Sono successe sicuramente tante cose, ma in modo particolare è cambiato l’immaginario che abbiamo intorno all’idea di felicità. Io parto dal presupposto che non si possa dare risposta al problema della caduta della natalità se non si ragiona su che cosa è un progetto generativo. “Perché si fanno bambini? Cosa significa fare figli? Quale è il motivo per cui le persone fanno bambini?” C’è oggi una narrazione intorno ai figli che ci fa pensare ai bambini soprattutto come una responsabilità troppo pesante; i figli vengono percepiti come un vincolo che restringe le nostre libertà e le nostre opportunità, invece di venire letti come una risorsa; i bisogni dei figli vengono contrapposti ai bisogni legittimi degli adulti.

Quindi?

La maggior parte delle persone vive oggi la vita in termini di progetto individuale; pensiamo alla vita riuscita in termini di “autorealizzazione”, parola che mette il baricentro nell’ individuo stesso. Realizzar-si significa immaginare che la nostra felicità e il nostro benessere dipendano da quanto riusciamo a prendere: quanto denaro, quanto successo, quanto amore. E’ necessario un paradigma diverso, che ci faccia riscoprire la parola “vocazione” … Nella vocazione la nostra vita si realizza in risposta a una domanda. Essere felici, in questo caso, vuol dire fare qualcosa che ci permette di sviluppare la nostra creatività, di mettere nel mondo un dono nostro; ognuno di noi ha qualcosa di inedito da dare, qualcosa che parte da lui per arricchire il mondo. Se la felicità è solo ‘quanto prendo’, Lei capisce bene che, evidentemente, diventa difficile mettere in piedi i progetti generativi.

Fare figli è un atto di Amore e non di statistiche…

 Fra tutti i possibili progetti di vita, i figli rappresentano qualcosa di molto particolare. Scegliere di mettere al mondo un bambino non è un progetto che possiamo collocare nell’ordine delle altre decisioni importanti, come ad esempio acquistare una casa o cambiare lavoro. La nascita di un figlio rappresenta una discontinuità esistenziale, perché segna l’inizio di un’avventura totalmente nuova, qualcosa che sfugge alle nostre fantasie di controllo.

Le donne oggi sono aiutate in questo compito?

Oggi le donne hanno raggiunto un potere talmente grande rispetto alla decisione sulla vita, che induce inquietudine. Quando è il momento buono per avere un bambino? Quando un bambino può essere accolto? Meglio pensare prima alla casa, ai soldi, alla carriera? Oggi abbiamo la possibilità di scegliere quando fare figli; se da un lato questa è una libertà nuova e anche una conquista, dall’altro questo potere, che ricade poi sulle donne, induce timore per la responsabilità che comporta: ci vuole una motivazione forte, altrimenti diventa difficile decidere per un figlio. Il nostro non è più un mondo pensato per i bambini, e non si percepisce la maternità come un grande dono per tutti, che merita una vera accoglienza a livello sociale.

La politica è stata assente, poco lungimirante in questioni di sostegno alla famiglia. Lei che ha sei figli che difficoltà ha incontrato?

La politica riflette sempre la cultura nella quale viviamo, e la mancanza di un reale e significativo sostegno alle famiglie è la conseguenza politica di una cultura individualistica. La politica miope di questi anni riflette purtroppo un sentire divenuto comune: si ritiene che ci siano cose più importanti e più interessanti e che la famiglia sia una specie di fissazione del mondo cattolico. La prima, grande rivoluzione deve essere quindi una rivoluzione di tipo culturale, supportata da una politica lungimirante. Io ho avuto sei figli, e ho cercato sempre di conciliare la maternità con la professione; ho sperimentato nella mia vita che la maternità è una grande fonte di forza. Una donna capace di essere insieme madre, moglie e lavoratrice è una persona molto in gamba. Non è certamente tutto facile, perché ci vogliono buonumore e pazienza, ma il premio è grande e ne vale davvero la pena.

Ma scusi Lei essendo una professionista impegnata aveva qualche aiuto a casa?

Io sono medico e ho avuto la possibilità di svolgere la mia attività in modo flessibile, ma anch’io ho sempre dovuto cercare molti adattamenti. Non avevo una famiglia che mi aiutasse, e un po’ come fanno tutti ho fatto ricorso all’aiuto di baby-sitter. La società dovrebbe tutelare le donne che arricchiscono la comunità mettendo al mondo i bambini, e prevedere per loro la possibilità di scegliere ritmi lavorativi flessibili, senza penalizzarle.

Per il lavoro che svolge immagino che avrà contatto con molte giovani coppie. Quali prospettive, problematiche hanno? Come possiamo sostenerli?

Le coppie vivono oggi la percezione di una grande instabilità relazionale e questo non favorisce la progettualità genitoriale. Le difficoltà di coppia si sono moltiplicate e c’è molto disorientamento. C’è bisogno di lavorare sul tema della stabilità, di lavorare sul significato dell’amarsi. L’amore di due fidanzati è diverso dall’amore di una coppia matura. Prima c’è l’innamoramento, poi la necessità di imparare a comprendersi. La differenza tra il maschile e il femminile è profonda, e riguarda il modo di sentire, di pensare, di accedere alla genitorialità. Il matrimonio è una sfida bellissima e difficile, che ci chiede di crescere giorno dopo giorno, senza mai arrenderci.

Papa Francesco ha sottolineato che il nostro paese sta vivendo un inverno demografico senza precedenti. È un paese, il nostro, che sogna poco a misura di famiglia? Eppure abbiamo a disposizione tutta la tecnica di questo mondo…

Sì, siamo diventati un paese molto individualista…Ciascuno gira intorno a sé. Si tratta anche di un tema educativo centrale; troppo spesso educhiamo i nostri figli solo con la preoccupazione di incrementare e supportare il loro progetto individuale: farli studiare di più, mandarli all’estero, parlare l’inglese. Abbiamo dato loro moltissimi strumenti di formazione. Ma questo lascia un vuoto: dobbiamo preoccuparci di renderli abili nelle relazioni, capaci di prestare attenzione all’altro, di accettare le differenze, di perdonare. Dobbiamo insegnare loro ad essere pazienti. Sono questi i presupposti, le basi, per una rinascita della vita sociale. Il sostegno economico non è sufficiente.

Perdonare, accettare l’altro, crescere con l’altro…cosa c’è che non va? Su cosa è necessario lavorare molto per tornare ad vedere questa competenza?

Le competenze di base per le buone relazioni si sviluppano dentro la famiglia, soprattutto nelle famiglie che hanno più figli. La pazienza, l’attesa, il saper stare al proprio posto, il fatto che non si può avere sempre ragione…In famiglia si è unici e importanti, ma si impara anche a condividere e a tenere conto degli altri. E’ la base naturale di ogni competenza sociale. Educare un figlio non vuol dire solo fornirgli tutti gli strumenti per diventare un adulto di successo, ma soprattutto fornirgli gli strumenti per diventare una bella persona, una persona capace di buone relazioni. E questo non si fa con grandi discorsi, ma attraverso ciò che quotidianamente accade: se per esempio una mamma sul tram fa alzare il proprio bambino per far sedere una donna incinta, questo gesto vale più di mille parole. Dobbiamo tornare a trasmettere tutto il bello della vita. E per fare questo le donne hanno un grande potenziale.