Marco Impagliazzo: Immigrazione, Abu Dhabi, Dialogo, Anziani

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A sostanzioso colloquio con il presidente della Comunità di Sant’Egidio, che ha passato il capo del mezzo secolo di vita. Un ‘cuore romano’ e le periferie del mondo, preghiera e canto, pace e dialogo interreligioso, la ‘Dichiarazione congiunta’ di Abu Dhabi, essere cristiani di minoranza nei Paesi musulmani, accoglienza, integrazione e ‘corridoi umanitari’, l’isolamento degli anziani.

 www.rossoporpora.org è conosciuto a Sant’Egidio. E Sant’Egidio è conosciuto dai lettori di www.rossoporpora.org, non da ultimo per le interviste fatte negli anni scorsi al fondatore della Comunità Andrea Riccardi e al presidente Marco Impagliazzo, in particolare su diplomazia e corridoi umanitari. Non sempre si è della stessa opinione su temi roventi, in particolare quelli dell’attualità politica. Ma sempre il salottino di Sant’Egidio è accogliente ed è così anche stavolta quando ci accomodiamo sul grande divano, di fronte a Marco Impagliazzo. Cinquantasettenne, presidente dal 2003, il nostro interlocutore è oggi professore ordinario di storia contemporanea a Roma Tre, dopo 17 anni di docenza presso l’Università per stranieri di Perugia (di cui è stato anche pro-rettore e presidente del Consiglio d’amministrazione). Con lui svilupperemo – in un’intervista assai ampia – diversi temi attinenti alla storia e all’impegno della Comunità…senza dimenticare l’attualità politica.

Professor Impagliazzo, si è concluso da poco l’anno del Cinquantesimo della Comunità di Sant’Egidio, che Lei presiede dal 2003.… Marco Impagliazzo nel 1968 era un pargoletto di sei anni e dunque non era presente ai primi vagiti – e nemmeno negli anni dell’infanzia – della creatura plasmata da Andrea Riccardi con alcuni suoi amici. Allora Riccardi era uno studente del Liceo Virgilio della capitale, attratto dapprima dal carisma di don Giussani, poi – scoperte le ‘periferie’ romane – voglioso di un ‘Sessantotto’ concretizzato in primo luogo attraverso l’impegno sul terreno… Da quel che Lei ha appreso su quegli anni, confrontandoli poi con quanto succede oggi, mi può dire come sono cambiate tali  periferie in questo mezzo secolo?

Per Sant’Egidio le periferie sono molto cambiate… oggi le periferie si sono ampliate, sono quelle del mondo. Ci tengo a evidenziare però che la Comunità ha un cuore romano sempre ben presente, in un certo senso provvidenziale, che abbiamo respirato fin dagli inizi: è un cuore che si nutre dello spirito universale di Roma, centro del cattolicesimo, luogo in cui operano il Papa e la Curia, da cui passano tutti i vescovi del mondo e tanti cattolici di ogni provenienza. Quindi questa dimensione universale è stata costitutiva in un certo senso del nostro essere Sant’Egidio: certamente nel 1968 c’erano le baracche lungo il Tevere, nella zona di Ponte Marconi…

…ecco, restiamo lì…

…abitate dagli immigrati dall’Italia meridionale che vivevano in condizioni veramente precarie. Allora in tutta Roma c’erano centomila baraccati, espressione della povertà nel nostro Paese e negli anni successivi ‘simbolo’ dei grandi sforzi fatti per elevarli dalla loro quotidianità di miseria. Oggi le povertà sono sostanzialmente nelle grandi periferie… però direi che la povertà maggiore è la solitudine.

Aspetto che Lei ha evidenziato durante il ringraziamento prima della conclusione della santa messa di sabato 9 febbraio, per il cinquantunesimo compleanno della Comunità, nella ‘madre’ di tutte le Basiliche, quella di San Giovanni in Laterano…

Sì…oggi riscontriamo nelle periferie la solitudine delle persone, l’isolamento degli anziani e di tante famiglie..

Si riferisce a Roma o più in generale anche alle altre periferie?

Mi riferisco soprattutto alle periferie del mondo occidentale. Lei sa che l’isolamento sociale è la prima causa odierna di morte per gli anziani. Si finisce nei grandi istituti e si muore prima, perché non c’è attenzione verso i ricoverati che dunque si sentono ancora più soli. Le persone non trovano più le reti cui appoggiarsi e in cui inserirsi, così che possano essere aiutate ad affrontare i problemi della vita. Anche le istituzioni si stanno ritraendo da questo loro dovere ed è questa una constatazione inquietante. Sant’Egidio è nata in una città in cui gli assistenti sociali andavano in giro, facevano le visite domiciliari, incontravano le persone nei loro problemi quotidiani: oggi questo è un mondo che sta scomparendo, perché tutti restano negli uffici.

Come cerca di supplire Sant’Egidio a tale carenza sempre più preoccupante per le conseguenze umane connesse?

Noi creiamo delle reti di amicizia che diventa solidarietà, sostegno insieme con le persone che ci aiutano, anche non appartenenti alla nostra Comunità: magari semplici volontari senza connotazione particolare.

Un esempio concreto?

Cito ad esempio il programma “Viva gli anziani!” che si svolge in 5 rioni di Roma, in cui vengono monitorati tutti gli anziani ultraottantenni attraverso telefonate e intervento delle reti di quartiere. Un portiere, un farmacista, un vicino di casa sono preziosi per poter prestare la necessaria attenzione all’anziano che è solo.

NON C’E’ IMPEGNO SENZA PREGHIERA, CHE E’ ANCHE CANTO

L’attività in favore dei poveri trova la sua fonte – come ha sottolineato il cardinale vicario Angelo De Donatis nell’omelia della messa del vostro cinquantunesimo compleanno – nella preghiera. Il porporato ne è stato sempre molto impressionato durante le sue visite ai luoghi in cui la Comunità opera…

Nella nostra storia c’è sempre stata un’unità tra due momenti: non c’è impegno sociale senza vita spirituale. Esistono altri movimenti nella Chiesa che sono o aggregazioni sociali o spirituali: per noi i due elementi sono costitutivamente complementari. Siamo cresciuti in tale consapevolezza, che un giorno è stata rafforzata in noi dalla predica di un pastore valdese, Valdo Vinai, che ha sostenuto come l’episodio evangelico di Marta e Maria vada letto insieme con la parabola, pure evangelica, del Buon Samaritano: quindi non ci può essere aiuto al più povero, all’uomo mezzo morto se non ci si mette ai piedi di Gesù, ascoltando la Sua Parola.

La vostra preghiera penso trovi piena espressione anche in un aspetto delle vostre celebrazioni che è inusuale sia nella misura che nelle melodie utilizzate, venate di Oriente: il canto corale…

Sì, come diceva papa Giovanni Paolo II la Chiesa europea deve respirare con due polmoni: quello occidentale e quello orientale. Papa Woytyla ci ha riportati all’attenzione verso la ricchezza delle Chiese d’Oriente. Noi abbiamo sempre guardato con venerazione alle icone, che ti stimolano alla contemplazione del volto di Cristo. Spesso nelle chiese non sai più dove guardare… a destra, a sinistra, in alto, in  fondo…non c’è un orientamento. Per noi aver messo l’icona del Volto di Gesù in tutte le chiese è stata una scelta precisa e meditata. Per quanto riguarda canti e inni, da noi hanno un grande spazio… sono tutti canti con accenti e ritmi orientali che hanno origine nella Parola di Dio: tanti sono i salmi che esprimono al meglio la preghiera del popolo di Dio. E’ una preghiera a tinte forti, non sbiadita… è preghiera del popolo che corrisponde all’insegnamento del Signore.

LA ‘DIPLOMAZIA’ DI PACE DI SANT’EGIDIO

Tra le attività più note della Comunità di Sant’Egidio troviamo quella di tessitori di pace, quasi una sorta di diplomazia parallela a quella ufficiale vaticana…Qualche momento particolarmente significativo di tale aspetto nella vostra storia?

Sono stati tanti i momenti di gioia. Direi che il più importante riguarda la pace in Mozambico firmata a Roma il 4 ottobre del 1992 (festa di san Francesco), con trattative sviluppatesi proprio qui a Sant’Egidio. Un milione di morti, un Paese dilaniato da una guerra civile molto sanguinosa tra il governo marxista e i ribelli del ReNaMo… ma il Mozambico ci ha permesso di scoprire quante energie di pace possano sussistere in una comunità cristiana. Non basta fare cooperazione internazionale quando c’è una guerra, perché la guerra è madre di tutte le povertà: bisogna lavorare per la pace, quella per cui in quegli anni un vescovo mozambicano ci chiese se potevamo dargli una mano. Ne è nata la storia – per certi versi miracolosa – di una pace mediata da una comunità cristiana. Da allora tante sono state le richieste che ci sono state inoltrate per un nostro aiuto nella risoluzione dei conflitti più svariati, dalla guerriglia interna ai gruppi di opposizione che, non essendo ascoltati, si rivolgono a noi sperando in un intervento risolutivo. Un altro grande momento per noi molto gratificante riguarda la road map per la pace nella Repubblica Centrafricana, che ha avuto recentemente, il 6 febbraio, a Karthoum il suo suggello: il documento firmato a Sant’Egidio diciotto mesi fa è stato ripreso dall’Unione Africana e finalmente portato a compimento. Non a caso il presidente della Repubblica Centrafricana Touadéra ci ha pubblicamente ringraziato durante la cerimonia.

In che cosa consiste quest’ultima road map?

Riguarda la smilitarizzazione di 14 gruppi armati nella Repubblica Centrafricana.

SE ‘GLI ALTRI’ TE LI RITROVI DAVANTI OGNI MATTINA QUANDO FAI LA SPESA…

Lei era tra gli invitati alla Conferenza sulla fratellanza umana di inizio febbraio a Abu Dhabi, cui ha reso visita anche papa Francesco, pronunciando un importante discorso e firmando nell’occasione – insieme con il Grande Imam di Al-Azhar – una Dichiarazione congiunta in materia di dialogo con l’islam che, se concretizzata, avrebbe effetti rivoluzionari sull’atteggiamento del mondo musulmano verso i cristiani (vedi https://www.rossoporpora.org/rubriche/papa-francesco/843-papa-abu-dhabi-certo-un-evento-storico-per-il-mondo-islamico.html ). Lei nel Suo discorso ha citato il reporter polacco Ryzard Kapuschinski, “che ha conosciuto mondi diversi e che scriveva: Ogni volta che l’uomo si è incontrato con l’altro, ha sempre avuto davanti a sé tre possibilità di scelta: fargli guerra, isolarsi dietro a un muro o stabilire un dialogo”. Che cosa accade però, professor Impagliazzo, quando l’altro irrompe in misura numericamente consistente in casa tua?

Irrompe in che senso?

Viene per motivi diversi, da non invitato, spesso grazie all’aiuto della criminalità estera e indigena. Te lo trovi davanti agli occhi ogni mattina…

Questa dell’immigrazione di massa è la grande questione del XXI secolo, insieme con quella dell’invecchiamento della popolazione. Su queste noi lavoreremo, ci confronteremo e ci scontreremo nei prossimi decenni. Credo che oggi, nel mondo globale, abbiamo tutti più freddo…

Che mi dice? Non si parla sempre di riscaldamento globale?

Ma no, abbiamo tutti più freddo perché il mondo è diventato tanto grande, non lo capiamo più e non abbiamo l’attrezzatura spirituale, umana e culturale per comprendere il fenomeno della globalizzazione. Quello che sta succedendo ad esempio nella Chiesa ortodossa con il confronto tra Costantinopoli e Mosca è una testimonianza di quanto dico: invece di unirsi, ci si divide. Il patriarca Athenagora diceva: “Chiese sorelle, popoli fratelli”, ma il tema della divisione è purtroppo sempre d’attualità. E la divisione è rafforzata da una percezione imperfetta della realtà. Così che l’altro ci spaventa…

L’altro ci spaventa… Se Lei venisse una volta – per fare un esempio – a piazza Bologna, si troverebbe davanti a una serie numerosa di ‘altri’ tale da indurre a pensare a una sorta di invasione. Oltre ai barboni per scelta o per necessità, trovi il racket delle biciclette, quello di coloro che cercano di spillarti soldi per presunte ragioni alimentari e di biglietto della metropolitana, rom – a volte con bambini al seguito – che eccellono nell’arte della cantilena chiedendo “una monetina” (salvo rifiutarla se si concretizza in una mela). All’angolo delle strade o davanti ai supermercati trovi diversi africani (spesso giovani apparentemente in carne) che, provvisti di cellulare, tendono la mano… si sa come arrivano… a gruppi verso le sette del mattino… menti e braccia tolte allo sviluppo dell’Africa e consegnate alla criminalità (che incassa gran parte dei proventi dell’accattonaggio). E’ evidente allora che la percezione del singolo si nutre di immagini come queste. Anche quella di tanti cattolici praticanti. E la conseguenza è che essi – malgrado le martellanti campagne dei vertici della Chiesa per i ‘porti aperti’ – poi…

Noi siamo molto concentrati su quello che ci dà fastidio. E ci può dare senz’altro fastidio incontrare nel giro di pochi minuti così tante persone che ci chiedono l’elemosina….

… sapendo – insisto – che almeno una parte di loro sono strumenti della malavita…

Sì, è vero. Però la Sua considerazione è molto importante perché ci fa riflettere su quello che c’è dietro… Dietro certo ci sono delle associazioni criminali; e tuttavia quanto appare ai nostri occhi è la conseguenza del fatto che si è lavorato poco sull’integrazione, un compito che le istituzioni hanno affidato alla società civile. Il vero luogo dell’integrazione oggi è la scuola, è la famiglia con le badanti, è il mondo del lavoro, è il mondo del volontariato sia laico che cattolico. Quali sono la volontà e le politiche di integrazione da parte dello Stato? Molto difficile capirlo. Allora… naturalmente da una parte bisogna contrastare la criminalità, dall’altra però chiediamoci se questi ragazzi non possano diventare una forza anche per il futuro della nostra società. Qui emerge la grande questione dell’integrazione che non è stata mai veramente affrontata nel nostro Paese.

I ‘CORRIDOI UMANITARI’? UNISCONO ACCOGLIENZA E INTEGRAZIONE

Accoglienza e integrazione: non voglio ripetere l’esempio di prima ma è difficile, molto difficile pensare che il suddividersi alle sette del mattino le postazioni davanti ai supermercati o agli angoli delle strade sia una testimonianza di quel che è l’accoglienza…è schiavismo, è sfruttamento disumano della persona umana…

Difatti quella non è accoglienza…

Come è noto qualche anno fa Sant’Egidio ha avuto l’idea dei ‘corridoi umanitari’, consistenti nell’accoglienza accompagnata in Italia di piccoli gruppi di profughi siriani rifugiatisi in Libano, Paese in cui il tema resta sempre di drammatica attualità (vedi anche in questo stesso sito l’intervista recente al patriarca maronita, cardinale Béchara Raï, https://www.rossoporpora.org/rubriche/interviste-a-cardinali/845-intervista-al-patriarca-bechara-rai-su-abu-dhabi-e-dintorni.html ). Come si è sviluppata l’idea, concretizzata per la prima volta nel febbraio 2016? A che numeri siamo?

I corridoi umanitari sono l’esempio di ciò che Lei diceva, perché uniscono accoglienza e integrazione. Si fondano su un’immigrazione legale – insisto: legale – che rimanda al decreto visti dell’Accordo di Schengen, in cui si prevede che ogni Paese europeo possa rilasciare visti a territorialità limitata per persone che hanno bisogno di protezione umanitaria. E quindi noi abbiamo colto l’occasione di tale norma per proporre il nostro progetto ai Ministeri italiani dell’Interno e degli Esteri. L’Italia ha accettato: abbiamo incominciato con i siriani che vivono nei campi-profughi in Libano…

Con quale criterio è avvenuta la scelta dei profughi?

Con quello della vulnerabilità. Percorriamo una via parallela a quella dell’UNHCR, che ha un numero enorme di rifugiati in lista d’attesa. La richiesta di molti non può essere soddisfatta e dunque noi ci inseriamo con un’attenzione particolare alle famiglie con madri che hanno perso il marito in guerra oppure è prigioniero da qualche parte, agli anziani, ai disabili… Abbiamo raggiunto globalmente ormai quasi  1500 arrivi di rifugiati siriani dal Libano grazie ai ‘corridoi’ per i quali collaborano con noi la Federazione delle chiese evangeliche e la Tavola valdese. Nel protocollo d’intesa la cifra di profughi da accogliere è fissata a duemila. Entro l’anno penso che la quota sarà raggiunta e dunque il protocollo sarà ridiscusso con i Ministeri competenti.

In un secondo tempo, nel 2017, l’idea si è estesa anche ai profughi del Corno d’Africa…

Sì, con la collaborazione stavolta della Cei-Caritas. Il primo arrivo è avvenuto il 30 novembre del 2017 e oggi siamo a quota 500: abbiamo raggiunto la quota stabilita nel protocollo d’intesa firmato con i ministeri competenti. Ora stiamo rinegoziando con l’attuale Governo così da permetterci di accogliere in Italia altri 500 somali, eritrei, sud-sudanesi. Insomma in totale, grazie ai ‘corridoi’, sono arrivati in Italia quasi duemila rifugiati che stanno percorrendo la via dell’integrazione.

Dove vengono sistemati i profughi? Chi paga il loro sostentamento, la loro integrazione? Che cosa ci può dire in materia?

Quando i profughi arrivano in aereo, sono accolti da famiglie e parrocchie che si sono messe a disposizione, dalle nostre stesse comunità promotrici dei ‘corridoi’. Ai profughi viene data una casa, i bambini vengono seguiti e iscritti a scuola, i genitori sono inseriti in corsi di lingua e cultura italiana gratuiti, poi in corsi di formazione professionale. Naturalmente nel primo anno, primo anno e mezzo i promotori devono finanziare le famiglie accolte, dopodiché queste ultime diventano autonome.

Ma si integrano veramente? Che cosa Le dice l’esperienza pur limitata di questi primi – pochi – anni di ‘corridoi’? Non è facile per una famiglia fuggita dalla guerra di Siria o dal Corno d’Africa adattarsi a una nuova vita in Italia…

Certo, non è facile. Però l’Italia è un Paese bello, un Paese che piace, con una cultura non troppo dissimile da quella mediterranea. Sono pochissimi i casi di persone che, giunte con i ‘corridoi umanitari’, hanno lasciato l’Italia senza rispettare gli accordi, per raggiungere le loro famiglie in altri Paesi europei. Se Lei pensa a quelli della nave ‘Diciotti’ – che non sono giunti con i ‘corridoi’ – ….quelli sono tutti scappati, non ce n’è più uno in Italia…

Che cosa vuol dire con la sottolineatura?

Se uno non viene accolto in vista di un’integrazione seria, se ne va, scappa. Il nostro modello invece funziona, perché dimostra che le persone accolte si radicano nel nostro Paese.

La vostra idea è stata accolta da altri Stati…

In Belgio sono arrivate con un protocollo d’intesa 150 persone – sempre siriani – dal Libano e dalla Turchia. Puntiamo a un secondo, analogo, protocollo. In Francia stiamo per raggiungere quota 500 – secondo gli accordi con il Governo – e anche lì l’integrazione funziona. Poi c’è Andorra, che ne ha presi una ventina: speriamo che Andorra sia la chiave per arrivare in Spagna, dove c’è molta più chiusura per i ‘corridoi umanitari’, anche dai socialisti.

Con la Svizzera non avete mai parlato?

Soprattutto le comunità protestanti hanno cercato di proporre i ‘corridoi’, ma – almeno per il momento – la Svizzera segue un altro tipo di politica. Lo stesso vale la Germania. Lì ci sono due Länder che vorrebbero ‘aprire’ ma  stanno aspettando la decisione del Governo centrale…

Tra i due c’è la Baviera?

No.

ABU DHABI: UNA ‘DICHIARAZIONE CONGIUNTA’ DI GRANDE RILIEVO, MA ANCHE DI FORTI POLEMICHE SU ALCUNI PASSI

Torniamo a Abu Dhabi, al Convegno sulla Fratellanza e soprattutto alla  ‘Dichiarazione congiunta’ firmata il 4 febbraio da papa Francesco e dal Grande Imam di Al-Azhar al Tayeb. La ‘Dichiarazione’ contiene alcune affermazioni di grande e positivo rilievo per l’impostazione di un dialogo interreligioso incisivo e proficuo ad esempio per i cristiani del Medio Oriente. Altri passi sono però assai controversi. In ambito musulmano il Grande Imam, di ritorno in Egitto, è stato fortemente contestato da gruppi sunniti. Ma anche in ambito cattolico alcune frasi della ‘Dichiarazione’ hanno suscitato inquietudine e proteste. Vedi il passo in cui si osserva che “il pluralismo e la diversità di religione, di colore, di sesso, di razza e di lingua sono una sapiente volontà divina, con la quale Dio ha creato gli esseri umani”. Qui anche il paracarro del Monte Ceneri (che divide Bellinzona da Lugano) viene trafitto da un dubbio: ma se la diversità di religione è frutto di una sapiente volontà divina, perché mai dovremmo continuare a evangelizzare? E – se è così – c’era proprio bisogno di dare la vita per restare cristiano?

Credo che qui ci sia un concetto da chiarire: l’evangelizzazione e il dialogo non sono in contrapposizione. Sono convinto, anche per aver incontrato tanti cristiani che sono minoranza nel loro Paese (conosco bene in particolare Algeria, Pakistan, Indonesia), che il tema dell’evangelizzazione in realtà è quello di che cosa significhi vivere da cristiani, non è quello di fare proselitismo. Uno evangelizza per come vive, per come si comporta, perché dice che per lui Gesù è tutto, perché vive il Vangelo. E’ la stessa vita che evangelizza. Uno dei modi di evangelizzare è il dialogo, perché i cristiani sono persone sempre in dialogo e vivono questa loro missione nel mondo di essere persone aperte verso gli altri. Questo per me è essere cristiani anche nei Paesi in cui i cristiani sono minoranza. Noi amiamo il prossimo e, anche a differenza dell’Islam, abbiamo a fondamento il comandamento dell’amore, che i musulmani ci ‘invidiano’.

Per riconnetterci a quanto Lei diceva a quest’ultimo proposito, un altro passo molto contestato della ‘Dichiarazione’ in ambito cattolico riguarda l’affermazione sulle religioni che “non incitano mai alla guerra e non sollecitano sentimenti di odio, ostilità, estremismo, né invitano alla violenza o allo spargimento di sangue”. Qui ancora e perfino il paracarro del Monte Ceneri potrebbe scorgere una parificazione ingiustificata tra lo spirito di pace emanante dal Nuovo Testamento e lo spirito guerriero costitutivo di una parte del Corano. Ma andiamo avanti, perché urge un’altra domanda a proposito del riconoscimento sia della libertà di culto che di quella religiosa (che sono libertà diverse… quella religiosa comprende ad esempio la pratica pubblica della propria religione, la possibilità di convertirsi, ecc…). Si riuscirà a garantirle tutte e due nei Paesi musulmani? Come passare poi dalla libertà di culto a quella religiosa? Da essere minoranza di serie B alla piena cittadinanza del Paese in cui si vive? Sarebbe una vera rivoluzione per il mondo islamico…

Sì, tra l’altro anche negli stessi Emirati Arabi Uniti ciò costituirebbe una rivoluzione. Credo che in ogni caso siano state poste le basi per un rinnovamento serio della pratica della libertà religiosa sia attraverso il discorso del Papa che quello del Grande Imam. Quest’ultimo ha chiesto con un vero e proprio appello ai cristiani di minoranza di sentirsi cittadini a pieno titolo. L’appello deve essere naturalmente recepito dai cristiani, ma anche dai governanti dei Paesi in cui i cristiani vivono. Al-Tayeb ha senza dubbio rischiato molto con l’incontro di Abu Dhabi e con la firma della ‘Dichiarazione’. E’ una persona che ha cercato di non rappresentare solo l’Egitto, il suo Paese. Del resto la ragione che ha portato alla costituzione del ‘Consiglio dei saggi islamici’ (con cui Sant’Egidio ha più volte collaborato in questi anni) è l’opportunità che il Consiglio non fosse identificato con un Paese musulmano specifico. Ciò naturalmente crea a al-Tayeb problemi gravi nel suo Paese di provenienza: al-Tayeb infatti non rappresenta l’Egitto, ma vuole rappresentare la più alta istituzione culturale e religiosa del mondo musulmano sunnita. Che è multinazionale.

Come ha reagito il mondo musulmano sciita alla ‘Dichiarazione’?

Alcuni sciiti partecipano al Consiglio dei saggi islamici. Al momento di questa intervista non sono in possesso di reazioni particolari. Vedremo che cosa succederà. Bisogna però sempre tener conto che il dialogo e la pace sono qualcosa di artigianale, costruito dagli uomini con i tempi degli uomini.

Vediamo per concludere se c’è un traguardo, se ci sono obiettivi cui Sant’Egidio mira particolarmente per i prossimi anni…

Due i grandi obiettivi. Il primo: quello che la nostra Europa possa affrontare veramente il tema dell’immigrazione nei termini che abbiamo detto prima, unendo accoglienza e integrazione. Fin qui abbiamo fatto poco e ne vediamo le conseguenze. Penso che sant’Egidio dovrà lavorare molto per convincere gli europei che la società di domani sarebbe più bella, più ricca e più umana se dovesse riuscire a dare risposta con l’integrazione a questa grande domanda che viene dal Sud del mondo. Secondo traguardo: quello di non abbandonare gli anziani, di vincere la battaglia contro il loro isolamento. Abbiamo fatto grandi passi avanti da punto di vista sanitario, viviamo più a lungo, ma come? Questa è la grande domanda che resta aperta e quindi si può star sicuri che Sant’Egidio continuerà a impegnarsi molto a fianco degli anziani, se possibile intensificando la sua presenza operosa. E’ un dovere che sentiamo sulla nostra pelle, non una semplice opzione.

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