Aldo Grazzi «Giardino d’inverno» | opening venerdì 18/03/16 h18

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1893

L’esposizione è costituita dall’ultimo ciclo di sculture dell’artista, realizzate in gesso e raccolte sotto il titolo “Giardino d’inverno”. Le opere sono presentate dentro teche di legno e vetro a protezione della delicatezza degli elementi che le formano. Si tratta di materiali classici come il gesso di Bologna e colle animali, sottili elementi vegetali e frammenti di tela, che formano infiorescenze sbocciate fra i corpi-vasi dai quali sembrano scaturire. Pur evocando la canonica rappresentazione del vaso di fiori, queste sculture sembrano formarsi naturalmente da quello che rimane di una stagione precedente, dai resti di vasi corrotti e nature appassite. Non si tratta dunque di nature morte ma piuttosto di nature risorte. La rinnovata bellezza giunge da una lunga messa a dimora, dal letargo, dall’abbandono, che ora si manifesta nella capacità di vita espressa nella nuova forma. Siamo davanti a un canto alla fragilità della vita, riconquistata e percorribile a partire da un nuovo inizio custodito da impreviste e misteriose relazioni, celesti e terrestri. Un umile, elegantissimo ossequio alla precedenza della natura e del cosmo. Un fiducioso assenso, dato da un artista di rara capacità e sensibilità, all’infinito scorrere della vita e alle sue ragioni, fragili anch’esse, ma perfette. Annarosa Buttarelli L’evoluzione delle forme sembra essere governata da percorsi che tendono al curvilineo, ma se i moti naturali possono essere uno dei possibili riferimenti da suggerire, bisogna chiarire che non si tratta di un richiamo descrittivo verso la natura quanto di un impossessarsi delle sue forze generatrici. Forze che poi sono guidate verso obiettivi riferibili alla dimensione scultorea. I pieni ed i vuoti si alternano in modi sempre variati, creando interazioni tra momenti di ordine e di disordine parziale. La sorpresa di questo fluire di forme, esile e fragile, rende estremamente sfumati i molteplici riferimenti alla scultura del Novecento italiano, evocati come in un riverbero appena avvertibile. Le conformazioni plastiche pongono al centro un senso di leggerezza e di fragilità, enfatizzato ulteriormente dalla scelta delle piccole dimensioni. E’ possibile avvertire la fantasia di continue evoluzioni in percorsi esili, sempre differenti, ognuno con sue specificità e caratteristiche strutturali ma sempre in un richiamo al fascino del provvisorio… Guido Molinari L’esposizione testimonia un rinnovato interesse dell’artista per la scultura. Appaiono così alla visione esili ed equilibrate piccole sculture che mimano, nel contempo con serietà e ironia, possibili declinazioni del reale. Anche in queste opere, la lievità diviene elemento costitutivo del tutto, combinandosi con nuove possibilità espressive del lavoro, dovute alla delicata presenza del colore e al preciso riferimento alla figurazione del vaso, portatore della bellezza floreale. Più che mai l’immagine supporta una futile apparenza epifanica, che pare generata, come nell’antica tradizione iconica, sul sottile confine tra la veglia e l’immaginario. Aldo Iori

noname-4Alcune opere d’arte così come alcuni artisti, sono destinati curiosamente ad attraversare il tempo, quasi la loro esistenza non fosse stata mai improntata all’inseguire la contemporaneità per farsi riconoscere, quanto per celiar con essa o addirittura inciderla con un’ironia quasi sublime e feroce straordinariamente celata in forme, colori, pensieri particolarmente poetici e apparentemente romantici. Sono quegli artisti che penso per un destino innato hanno sempre guardato all’uomo come uno straordinario abitante, come ad un calembour con cui confrontarsi, guardare gli orizzonti e contemporaneamente condividere viaggi e pensieri. Certo per una loro attitudine al “sorvolare” le precauzioni o meglio ancora le permalosità del Mondo, si sono resi conto che non tutto il Mondo, e direi tanto meno gli uomini, tollerano la leggerezza ironica, il piacere dell’enigma aperto, sereno, un enigma in fondo senza neppure la necessità di una obbligatoria soluzione; insomma alcune opere, così come alcuni artisti, non possono far conto, sulla immediata visibilità che la Mondanità sembra sempre più garantire. Se queste opere e questi artisti hanno invece, e sempre naturalmente, avuto presente e come loro caratteristica il dubbio, la “ricerca di un mondo che Non Conoscono”, il tentativo bontempelliano di trovarlo e soprattutto raggiungerlo, beh…allora sono opere d’arte ed artisti che “Viaggeranno nel Tempo”. E’ con questo concetto piuttosto astratto ed assolutamente reale che ho incontrato Aldo Grazzi. Luca Massimo Barbero Aldo Grazzi (1954 Pomponesco, MN) vive e lavora a Perugia e Venezia. Docente di Pittura e di Tecniche Extramediali presso l’Accademia di Belle Arti di Venezia, inizia il suo percorso artistico a Bologna negli anni Settanta, elaborando un approccio alla concettualità che si declina in varie forme: video, fotografia, assemblaggi, environment, etc. Nella seconda metà degli anni Ottanta la sua ricerca evolve e si intreccia con il ruolo di curatore di eventi espositivi (Rapido Fine, Traviata, etc…) per giungere ad una netta discontinuità con il decennio segnato dalla Transavanguardia e contribuire al nascere di un nuovo clima culturale, soprattutto milanese, con una generazione di artisti agli esordi. Parallelamente si impegna come musicista nella scena alternativa italiana intessendo relazioni con le arti visive, in particolare suona prima con i Cavalla cavalla, e poi con il gruppo RN in numerosi eventi espositivi. In seguito sempre più nelle sue opere utilizza procedimenti che implicano un intervento manuale ed in questo senso si riavvicina al fare pittorico. Alcuni viaggi in Africa (1987/93) costituiscono l’occasione per realizzare lavori a quattro mani con le tribù Maasai e Samburu. Durante gli anni Novanta è partecipe del clima bolognese legato alla Galleria Neon; progressivamente avverte il bisogno di sviluppare il suo percorso concentrandosi sul proprio fare estetico e appartandosi rispetto al clima di condivisione artistica dei decenni precedenti. Giunge così a elaborare una gestualità del fare resa esercizio virtuoso, complesso e totalizzante.

Aldo Grazzi (1954 Pomponesco, MN) vive e lavora a Perugia e Venezia. Docente di Pittura e di Tecniche Extramediali presso l’Accademia di Belle Arti di Venezia, inizia il suo percorso artistico a Bologna negli anni Settanta, elaborando un approccio alla concettualità che si declina in varie forme: video, fotografia, assemblaggi, environment, etc. Nella seconda metà degli anni Ottanta la sua ricerca evolve e si intreccia con il ruolo di curatore di eventi espositivi (Rapido Fine, Traviata, etc…) per giungere ad una netta discontinuità con il decennio segnato dalla Transavanguardia e contribuire al nascere di un nuovo clima culturale, soprattutto milanese, con una generazione di artisti agli esordi. Parallelamente si impegna come musicista nella scena alternativa italiana intessendo relazioni con le arti visive, in particolare suona prima con i Cavalla cavalla, e poi con il gruppo RN in numerosi eventi espositivi. In seguito sempre più nelle sue opere utilizza procedimenti che implicano un intervento manuale ed in questo senso si riavvicina al fare pittorico. Alcuni viaggi in Africa (1987/93) costituiscono l’occasione per realizzare lavori a quattro mani con le tribù Maasai e Samburu. Durante gli anni Novanta è partecipe del clima bolognese legato alla Galleria Neon; progressivamente avverte il bisogno di sviluppare il suo percorso concentrandosi sul proprio fare estetico e appartandosi rispetto al clima di condivisione artistica dei decenni precedenti. Giunge così a elaborare una gestualità del fare resa esercizio virtuoso, complesso e totalizzante.