
La corsa presidenziale degli Stati Uniti si sta disputando su diversi piani, contesti e livelli tra colpi di scena senza precedenti. Le sfide e le dinamiche politiche si intrecciano in un gioco intricato di strategie, retorica e mobilitazione elettorale. I candidati cercano di conquistare gli elettori, affrontando questioni cruciali e moralmente importanti come i diritti umani attraverso l’immigrazione, la criminalità e la giustizia sociale se non addirittura rivisitando la storia, come il ritiro delle truppe e dei civili americani dall’Afghanistan.
Mentre Trump sta cercando di non dover dichiarare bancarotta per i 454 milioni di dollari che deve depositare come cauzione per potersi appellare alla condanna per frode a New York, (pare infatti, che i suoi avvocati abbiano contattato 30 aziende tramite intermediari, e nessuna è disposta ad accettare le sue proprietà immobiliari come garanzia), dall’altra, presso la Camera dei Deputati si discute il ritiro ignominioso dall’Afghanistan nel 2021. Presenti in aula le famiglie dei 13 marines uccisi ad Abbey Gates, i due generali, oggi in pensione, responsabili per la messa in atto dell’evacuazione e il sergente che con prove a mano testimonia che i funzionari dello State Department sapevano che sarebbe avvenuto un attacco, ma che non vollero ascoltare né verificare le informazioni militari. D’altra parte non si poteva immaginare che Biden non avrebbe rispettato gli accordi di Doha, stipulati dal suo predecessore, Trump e il governo talebano. Eppure se dovessimo tornare indietro nella storia, già nel lontano 1975 il neo senatore Biden aveva dichiarato: “Non credo che gli Stati Uniti abbiano l’obbligo morale di evacuare cittadini stranieri”, “sia 1 o 100.000”. L’allora senatore infatti era contrario alla direttiva di Gerald Ford che voleva salvare quei vietnamiti del sud che avevano lavorato per le forze armate americane.
Su un altro piano poi ci sono gli arrivi, e questi sicuramente giustificati, da Haiti.
Recentemente, Haiti, il paese più povero dell’emisfero occidentale, ha visto insorgere una nuova ondata di violenza da alcune gang che, pesantemente armate, hanno attaccato carceri e stazioni di polizia nella capitale, Port-au-Prince. A causa di questa violenza, il primo ministro haitiano è fuggito a Porto Rico e ha annunciato le dimissioni una volta stabilito un governo di transizione. Questa crisi ha generato una situazione umanitaria critica, spingendo migliaia di haitiani a lasciare le proprie case.
Da molti anni, gli Stati Uniti hanno messo in atto piani di contingenza per affrontare eventi di migrazione di massa nel Mar dei Caraibi, specialmente vicino agli stretti della Florida. Secondo funzionari statunitensi anonimi, questi piani includono la possibilità di ospitare i migranti presso la Base Navale di Guantanamo Bay, situata all’estremità sud-est dell’isola di Cuba e affittata dagli Stati Uniti dal 1903. Quest’area include un centro per i richiedenti asilo, che vengono esaminati e o rispediti indietro o immigrati, ed è separata dal centro di detenzione di Guantanamo Bay, dove gli Stati Uniti detengono ancora diverse dozzine di sospetti di terrorismo post-11 settembre. In caso di afflusso di arrivi in barca, Guantanamo potrebbe essere utilizzata per allestire strutture aggiuntive, come tende, per ospitare i migranti.
Altro punto di sbarco importante è la Florida, non solo per vicinanza ma perchè qui risiedono più di 270.000 haitiani, che preoccupati per amici e parenti, spendono ore e ore cercando di controllare se stanno bene, se hanno trovato riparo e assistenza. Molti infatti sono rimasti senza casa, senza cibo mentre la violenza e l’incertezza rimangono rampanti. Il governatore Ron DeSantis (R-FL) della Florida, visti i primi arrivi, ha subito schierato oltre 250 agenti di polizia e soldati alle Florida Keys per “proteggere il nostro Stato” e fermare il possibile afflusso di migranti haitiani che fuggono dalla violenza.
Infine fra i vari colpi di scena, ieri la Corte Suprema ha autorizzato il Texas a implementare, almeno temporaneamente, la “controversa” legge che permette alla polizia statale e locale di arrestare gli immigrati senza documenti e ai giudici statali di deportarli. Anche se con tre giudici in disaccordo, la Corte ha respinto l’istanza d’urgenza presentata dall’amministrazione Biden, che sosteneva che gli Stati non hanno l’autorità per legiferare sull’immigrazione, questione di competenza esclusiva del governo federale.
La legge, conosciuta come S.B. 4, (Senate Bill 4) criminalizza a livello statale l’attraversamento illegale del confine per i migranti e autorizza le autorità del Texas ad espellere gli individui senza documenti. Tuttavia, il Messico, ha dichiarato martedì, non accetterà nessun migrante respinto dallo Stato texano e ha condannato la legge come «un atto che incoraggia la separazione delle famiglie, la discriminazione e il profiling razziale violando così i diritti umani della comunità di migranti».
Il governatore del Texas, Greg Abbott, (R-TX) ha accolto l’ingiunzione della Corte, definendola «uno sviluppo chiaramente positivo», “anche se la battaglia legale non è ancora conclusa», ha aggiunto. Invece la Casa Bianca attraverso la sua portavoce, Karine Jean-Pierre, ha dichiarato che la legge «non solo renderà le comunità in Texas meno sicure, ma peserà anche sulle forze dell’ordine e seminerà caos e confusione al nostro confine meridionale».
La vittoria texana non è durata nemmeno 24 ore, infatti la Corte d’Appello ha bloccato la legge sull’immigrazione del Texas poche ore dopo che la Corte Suprema aveva dato il via libera.
La decisione della Corte d’Appello del 5° Circuito degli Stati Uniti, giunta dopo che la Corte Suprema degli Stati Uniti, ha concesso al Texas il permesso di far rispettare la legge, che era stata dichiarata incostituzionale da un giudice federale a febbraio. La Corte Suprema ha rimandato la questione al 5° Circuito, che ha agito rapidamente per revocare un ordine emesso il 2 marzo che permetteva temporaneamente al Texas di far rispettare la legge SB 4. Resta ancora da decidere la richiesta del Texas di una sospensione in attesa dell’appello, che, se concessa, permetterebbe allo stato di far rispettare la legge SB 4 mentre il 5° Circuito determina se la legge sia costituzionale. Le udienze orali su quella richiesta si terranno mercoledì mattina. Le decisioni altalenanti delle corti d’appello non rispondono al cuore della questione: se il Texas abbia promulgato correttamente la legge per affrontare il flusso di migranti al confine o se abbia usurpato l’autorità del governo federale nella gestione dell’immigrazione e quindi prendendo decisioni di politica estera.







