Colombia. Intervento di Donato Di Santo

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Per rispettare i dieci minuti assegnatici ho suddiviso il mio intervento in tre parti: alcuni commenti al volume; qualche ricordo personale, frutto di una quarantina d’anni di frequentazione di quei territori; e infine, poche considerazioni sul rapporto tra Italia e Colombia ricordando alcune delle persone che hanno intelligentemente animato questo rapporto.

QUALCHE MIO COMMENTO AL LIBRO

Ha fatto molto bene Il Mulino a inaugurare con la Colombia la sua nuova collana “Americhe”.

In generale se ne sa poco. Spesso da noi in Italia, viene chiamata Columbia. E dopo quattro stereotipi messi in fila (i corrispettivi colombiani degli italici pizza-mafia-e-mandolino) …si passa oltre.

Sarà, come suggerisce l’Autore, perché non ha subìto l’alluvione demografica di milioni di europei, e nel nostro caso di italiani, che invece ha inondato altri paesi del Sud America restando, relativamente, immune dal processo di europeizzazione. Questa caratteristica ne ha determinato la singolarità, facendone una versione “speciale” di quell’Estremo Occidente che Alain Rouquié individua nell’America Latina.

Sarà anche, come pure si legge nella introduzione, perché la sua vicenda è stata caratterizzata più dalla geografia che dalla storia. Territorio vastissimo, aspro e fortemente frammentato, che ha determinato regioni geografiche per secoli senza vie di comunicazione e con fortissima identità localistica. Il “páisa”, antioqueño, ha difficoltà a confondersi con il caribeño, e così via. Ognuno è convinto che la arepa della propria provincia (departamento) sia di gran lunga migliore delle altre.

Comunque, oltre a queste dinamiche, che troverete ben spiegate nel libro, ciò che ha caratterizzato per oltre un secolo la Colombia è sicuramente la violenza.

La violenza nelle condizioni dello sfruttamento agrìcolo dei contadini nei latifondi. La violenza nella competizione tra i due partiti che storicamente si sono combattuti per il potere, o se lo sono spartiti in un patto scellerato che, se formalmente ha garantito la democrazia …l’ha anche di fatto asfissiata. La violenza estrema del narcotraffico in tutte le sue varianti più terrorifiche. La violenza della disseminazione delle mine antiuomo (per anni la Colombia ha disputato il primato mondiale con l’Afghanistan). La violenza di guerriglie nate come forma di autodifesa con finalità politiche e poi sconfinate nel terrorismo e nel narco-business. La violenza dello sfollamento di massa di milioni e milioni di persone. La violenza mercenaria e abbietta del “paramilitarismo”, che ha spazzato via generazioni di colombiani e decimato possibili classi dirigenti alternative.

Oltre all’ex Presidente Uribe, che è “persona informata dei fatti”, c’è un’altra persona che potrebbe rivelare molti risvolti di questa specifica vicenda, nei suoi rapporti con il potere colombiano (oltre che con la ‘Ndrangheta nostrana) ed è colui che, dopo l’uscita di scena dei fratelli Castaño, prese in mano le redini delle bande Autodefensas Unidas de Colombia, l’italo-colombiano Salvatore Mancuso, da poco rientrato in Colombia dopo 15 anni di galera negli Stati Uniti.

Devo fare i miei complimenti al professore La Bella (ma mi permetto di chiamarlo Gianni perché legati da antica amicizia). Ha scritto un testo chiaro, rigoroso e, al tempo stesso, accattivante e scorrevole nella lettura. Un testo denso e pieno di informazioni: io ad esempio ho scoperto il significato autentico di “páisa” leggendo il libro! …ovviamente non ve lo svelo!!

Gianni ha la professionalità dello storico, la passione partecipe dell’esperto di America Latina, e la conoscenza profonda della Colombia anche sul versante dei diritti umani. Il risultato è un’opera snella e completa. Direi necessaria.

QUALCHE RICORDO PERSONALE

A differenza dei miei illustri co-relatori, eminenti storici, io non lo sono.

Mi sono allora chiesto perché sono stato invitato, …e la risposta che mi sono dato è che il motivo risieda nella vicenda personale, intrecciata a quella politica, che negli ultimi 40 anni mi ha portato a conoscere tutti i paesi latinoamericani e svariati protagonisti dei loro accadimenti politici, sociali e istituzionali.

In questo itinerario, che ho avuto la fortuna di vivere, la Colombia ha un rilievo del tutto particolare. Era il 1989 quando mi trovai a prendere la parola a Bogotà, in qualità di rappresentante ufficiale del PCI, al Congresso nazionale della Unión Patriótica, un movimento politico nato pochi anni prima e che si proponeva (e praticava) il passaggio dalla lotta armata nelle FARC all’azione politica democratica e non violenta. La Bella ne parla nel libro. Io posso solo aggiungere che in quella occasione potei conoscere una persona straordinaria, il leader della UP Bernardo Jaramillo, giovane intellettuale che stava traghettando verso l’impegno democratico una parte considerevole dell’elettorato di sinistra, che prima non aveva alternative tra un bipartitismo reazionario e la scelta della guerriglia. Jaramillo era particolarmente attratto dalla esperienza del PCI, e due anni prima aveva partecipato a Roma, da invitato internazionale, al XVIII Congresso di quel partito. Per lui era stata una esperienza fondamentale (e me ne parlò a lungo), perché aveva “scoperto” che si poteva lottare per una via nazionale al socialismo fuori (e anche contro) gli schemi stalinisti sovietici, che si poteva coniugare l’ideale comunista con l’assimilazione completa -direi viscerale- della scelta democratica, che si potevano governare decine di città e centinaia di comuni, con idee e soluzioni innovative ed efficaci, pur stando all’opposizione a livello nazionale. E aveva scoperto il pensiero di Gramsci… Tutte cose che il suo partito d’origine, il PC colombiano, faceva il possibile per occultare.

Bernardo venne assassinato pochi mesi dopo il loro Congresso. Gran parte dei dirigenti che avevo incontrato in quella occasione, tra cui Manuel Cepeda, vennero uccisi, uno ad uno. L’Unión Patriótica, in pochissimi anni, fu letteralmente decimata con migliaia e migliaia di omicidi politici selettivi. Era la feroce risposta dell’establishment al primo tentativo serio, cioè politico, di spezzare il ferreo bipartitismo reazionario. Nicolas Buenaventura, comunista eretico, e teorico di questo processo di democratizzazione, fu uno dei pochi a concludere in modo naturale e non tragico la propria esistenza. Una ricercatrice dell’Università di Roma Tre, sotto la guida di Maria Rosaria Stabili, sta ripercorrendo questi avvenimenti.

Dalla fine degli anni ’80 sono tornato moltissime volte in Colombia (fino allo scorso anno, in “era Petro”), potendo conoscere e collaborare con personalità quali Antonio Navarro Wolf, successore di Carlos Pizarro alla guida dell’ex guerriglia M19, ormai costituitasi in movimento politico (che sarà poi uno dei Presidenti dell’Assemblea Costituente). Bernardo Gutierrez, capo della guerriglia dell’EPL, che ebbe il coraggio –quando non era “di moda”- di sciogliere il proprio movimento, consegnare le armi e avviare un percorso democratico (Bernardo concluse i propri giorni ad Amelia, vicino Roma). Gustavo Petro, anche lui dell’M19, successivamente Sindaco di Bogotà e ora Presidente. Due dirigenti sindacali che entrarono in politica, governando la capitale e approdando poi a scelte diverse, Angelino Garzón e Lucho Garzón. Clara Lopez che, da liberale di sinistra, entrò nella Unión Patriótica. …e molti altri.

Inoltre la comune partecipazione alle riunioni degli Organismi dirigenti della Internazionale Socialista sia del PCI-PDS, di cui ero responsabile per l’America Latina, che della corrente progressista del liberalismo colombiano, mi permise di fare conoscenza con Juan Manuel Santos, che poi sarà eletto Presidente, e con Ernesto Samper, che già lo era stato.

PERSONE DI RIFERIMENTO NEL RAPPORTO ITALIA-COLOMBIA

Durante la presidenza del conservatore Pastrana l’Italia fu tra i paesi che giocarono un ruolo attivo a sostegno del processo di pace in quanto “facilitatori”, grazie all’opera dell’Ambasciatore Felice Scauso.

Anche se, come detto all’inizio, in Colombia non è presente una rilevante collettività italiana, vi sono state e vi sono esperienze e presenze significative.

In ambito sociale, movimenti di volontariato laico come la Comunità di Sant’Egidio, attiva anche nel supporto agli sforzi per le trattative di pace con l’ELN e ben conosciuta dall’autore di questo libro; e alcune ONG di cooperazione allo sviluppo come ad esempio il CISP. Sempre nell’ambito della cooperazione chi ha formato intere generazioni di cooperanti italiani in Colombia e in tutta l’America Latina è il colombiano Jairo Agudelo.

Una persona che, da Bogotà, mantiene un protagonismo fra Colombia, Italia e America Latina, è il pugliese Franco Vincenti, che per lunghi anni ha diretto l’Agenzia dell’ONU UNDP in Colombia e che adesso è promotore di una Rete per il dialogo politico e l’integrazione latinoamericana.

Mentre una persona che non c’è più e che, per ragioni familiari, di impegno nella cooperazione allo sviluppo e di attività accademica, aveva fatto della Colombia la sua seconda patria, è stato Carlo Tassara, un grandissimo conoscitore, oltre che amante, di questo affascinante paese. E un grande amico.