Vacanza presidenziale o Dimissioni di fronte a un’incapacità comprovata

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Quando il Perù ha smesso di essere sicuro?

Paura, frivolezza e una vacanza che arriva tardi

Mentre la criminalità organizzata conquistava quartieri e strade, il Governo amministrava l’immagine e il Congresso guardava altrove. Oggi la vacanza viene ammessa: la sicurezza non può restare in pilota automatico.

Dal rumore politico alla paura quotidiana

In quale momento il Perù ha smesso di essere sicuro? Quando le marce contro la cattiva gestione si sono spente e la gente ha preferito chiudersi in casa?
Una data simbolica è la grande ondata migratoria venezuelana: è arrivata tanta gente laboriosa, ma anche si sono infilate reti criminali —liberate o tollerate dal regime di Maduro— che hanno trovato terreno fertile nel nostro disordine. Il breve governo di Kuczynski non pose dighe né controlli sufficienti. Poi venne Castillo, con una politica che si montava e smontava, fino al goffo autogolpe che sfiorò il conflitto.

Con Boluarte, la risposta statale alla protesta fu letale: oltre cinquanta peruviani morti in operazioni poliziali. E, in parallelo, la delinquenza divenne “utile” a un potere che smise di ascoltare la strada: non si arrestano i criminali, la cittadinanza arretra e la paura si espande in tutto il Paese, non solo a Lima.

Paura come anestesia; frivolezza come governo.
Mentre la gente lottava contro estorsioni, rapine e sicariato, il panico sociale ha sostituito il controllo democratico. La critica aperta si è spenta; il potere è rimasto senza contrappesi. In quel vuoto, la Presidenza ha viaggiato, posato e annunciato, ma non ha concluso. Nemmeno la trasparenza è stata un emblema: poco o nulla sappiamo di accordi sensibili, per esempio con la Cina, che dovrebbero essere pubblici.

L’inventario dell’inazione

Se oggi possiamo stilare un inventario di omissioni è anche perché una cittadinanza, stanca, intimorita, ha preferito non guardare e aspettare una soluzione “dall’alto”. Il governo Boluarte ha lasciato una lista di azioni inconcluse:

  • Stati d’emergenza senza risultati. Proroghe a Lima, Callao, Trujillo, Virú e oltre. Estorsioni e sicariato sono rimasti in crescita; mancano indicatori pubblici di riduzione duratura.

  • Esplosione della violenza letale. Il 2025 è segnato dall’assassinio di trasportatori (almeno 180 autisti uccisi per aver rifiutato i “cupo”) e da attacchi ad artisti popolari; persino una sparatoria contro Agua Marina dentro una struttura militare. Sono saltate prevenzione, intelligence e controllo del territorio.

  • Disallineamento fra discorso e capacità. Si è indebolita la lotta al crimine erodendo l’indipendenza di magistrati e procuratori. L’Esecutivo ha risposto con gesti simbolici (pena di morte, oggi inapplicabile) invece di un piano integrale. Risultato: più omicidi ed estorsioni tra 2023–2025.

  • Sconnessione con la gente. L’approvazione presidenziale è sprofondata al 2–4%. Con questa fragilità, coordinarsi con regioni, comuni e PNP è diventato quasi impossibile.

  • Segnali anti–Stato di diritto. L’amnistia a militari e poliziotti per crimini del passato —contestata a livello internazionale— ha trasmesso blindatura politica nel mezzo dell’ondata criminale.

E la misura di questa irresponsabilità si è vista ieri: a Cusco, oltre duemila turisti sono rimasti bloccati; c’è stato perfino chi ha scavato sotto i binari del treno, generando caos. E, nello stesso tempo, il Governo promette di aumentare gli arrivi turistici. Una strategia “a modo suo” che non si discosta da Castillo: distruggere il Paese.

Che cosa ha prodotto: tre danni che pesano

  • Fallimento strutturale. Sicurezza senza piano (intelligence, carceri, dogane, finanze del crimine, polizia di prossimità) e emergenze a catena che non abbassano la curva.

  • Costo umano. Trasportatori assassinati, artisti attaccati; Stato assente perfino in spazi “protetti”.

  • Costo istituzionale. Misure simboliche, urti con i diritti umani e sfiducia record verso il Governo.

Presidenza vacante a pochi mesi dal 2026: che cosa guardare adesso

A pochi mesi dalla presidenziale di aprile 2026, dopo aver ignorato richieste, anche del settore imprenditoriale, tardive ma nette, il Congresso ha ammesso la vacanza presidenziale. Nell’immediato contano tre cose:

  1. Conto dei voti. Dopo i 52 per l’ammissione, la destituzione richiede 87 voti.

  2. Contromosse dell’ufficialismo. Altri stati d’emergenza, operazioni o rimpasto per guadagnare tempo?

  3. Segnale dei grandi blocchi. La maggiore bancada ha annunciato sostegno all’uscita; se non arretra, la correlazione cambia.

Un Paese che normalizza l’emergenza senza risultati finisce governato dalla vetrina. La vacanza, da sola, non sconfigge il crimine; ma nominare l’inazione è il primo passo. La sicurezza non si amministra con comunicati: si costruisce con vera intelligence, carceri ordinate, dogane blindate, finanze del crimine perseguite e presenza di polizia dove la gente vive.

La democrazia non può restare in pilota automatico mentre la paura fa il lavoro sporco.

Ed è legittimo chiedersi come mai una donna dell’interno del paese, che conosce da vicino la violenza che il Perù ha patito, ben oltre Sendero, sia stata così insensibile al declino sociale. Le sue decisioni hanno seguito una logica cortissima:

  1. Governo per sopravvivere, non per riformare. Con il 2–4% di approvazione, la priorità è stata tenere i voti in Congresso. Questo spinge ai cerotti (più emergenze, più militari) invece che alle riforme (polizia, carceri, giustizia) che rompono equilibri. Un do ut des permanente e meschino.

  2. Emergenza come stampella. Lima/Callao e altre zone hanno concatenato proroghe. Estorsioni e sicariato non sono calati. L’emergenza mostra azione; non abbassa le curve.

  3. Istituzioni indebolite. Con un Congresso che riduce l’indipendenza di giudici e procuratori, anche con buona volontà l’Esecutivo perde capacità contro estorsioni, riciclaggio e controllo carcerario.

  4. Segnali di impunità. Il Tribunale Costituzionale ha sospeso le indagini su Boluarte fino al 2026: legalmente possibile, politicamente tossico. Si è aggiunta un’amnistia letta come blindatura, non come sicurezza.

  5. Racconto scollegato. Con ≥180 autisti uccisi e migliaia di estorsioni, il Governo non ha mostrato metriche di miglioramento né un piano passo–passo. Quando il discorso non coincide con la strada, o con il caso Agua Marina, la gente dà il suo verdetto: inazione.

In sintesi:

  • Errore di focus: sopravvivenza politica e “mostrare azione” vs. politiche integrali.

  • Errore di contesto: un impianto istituzionale indebolito ingolfa ogni strategia seria.

  • Errore di legittimità: con consensi minimi e segnali di blindatura, il Governo ha perso l’autorità per chiedere sacrifici e coordinare.