Il Belgio ha composto il puzzle

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Dal mese di ottobre 2023 abbiamo assistito, quasi impotenti, alla devastazione del popolo palestinese. Dall’America Latina sono arrivate solo dichiarazioni timide; dai Paesi vicini, poche censure. Sono dovuti passare mesi prima di ascoltare la voce della Federazione Italiana per l’Ebraismo Progressivo, che ha ricordato, oggi 3 di settembre, l’insegnamento del Talmud sull’importanza di protestare davanti alla sofferenza.

Lo Shabat 54b recita:

«Chi abbia potuto protestare efficacemente contro la condotta peccaminosa dei suoi familiari e non l’abbia fatto, sarà arrestato per i peccati dei suoi familiari e punito.
Se può protestare contro la condotta peccaminosa degli abitanti della sua città e non lo fa, sarà arrestato per i peccati degli abitanti della sua città.
Se può protestare contro la condotta peccaminosa del mondo intero e non lo fa, sarà arrestato per i peccati del mondo intero».

Quella voce chiede di difendere la sacralità di ogni vita innocente, indipendentemente da nazionalità o religione; di esplorare tutte le vie per il ritorno degli ostaggi; di porre fine alla guerra a Gaza; di garantire l’aiuto umanitario; di cercare la pace in Israele, Cisgiordania e Gaza; di esigere responsabilità da chi alimenta violenza e illegalità; e di promuovere la coesistenza e la dignità di ogni persona.

Il quadro del genocidio

Il conflitto a Gaza non nasce solo dall’attacco di Hamas del 7 ottobre 2023, ma si inserisce in una strategia sistematica: blocco, bombardamenti intensivi e taglio dei rifornimenti essenziali. Tutto ciò ha generato carestia ed emergenza umanitaria prolungata. L’alto muro che ho avuto modo di vedere, vicino al convento dei francescani che custodiscono la Natività a Betlemme, era opprimente e presagiva ciò che oggi viviamo.
Chi può resistere a vivere sotto un muro che esclude? Il rancore si coltiva quotidianamente, da entrambe le parti. L’odio si sente, si annusa, si percepisce.

L’Associazione Internazionale degli Esperti di Genocidio (IAGS) si è pronunciata formalmente: le politiche israeliane a Gaza soddisfano i cinque criteri legali del genocidio secondo la Convenzione del 1948.

La Procura della Corte Penale Internazionale (CPI) ha chiesto mandati d’arresto contro Benjamin Netanyahu e Yoav Gallant, così come contro leader di Hamas, per la loro possibile responsabilità in crimini di guerra ed exterminio. Da parte sua, la Corte Internazionale di Giustizia (CIG) ha concesso misure provvisorie nel caso presentato dal Sudafrica, riconoscendo che alcuni atti potrebbero rientrare nella definizione di genocidio.

Dall’emotività alla legge

Le reazioni internazionali sono state varie, ma soprattutto emotive. La politica, invece, ha mantenuto un silenzio assordante. Alcune eccezioni: oltre 500 funzionari dell’Alto Commissariato ONU per i Diritti Umani hanno chiesto di qualificare quanto accade a Gaza come genocidio, sollecitando un’azione immediata. La relatrice speciale Francesca Albanese, a Bogotá, ha invocato la sospensione delle relazioni diplomatiche e sanzioni immediate.

Il premier spagnolo Pedro Sánchez ha definito la risposta europea un “fallimento” ed è stato tra i primi a parlare apertamente di genocidio, chiedendo la sospensione dell’accordo con Israele. Anche la Turchia ha accusato Israele di genocidio, denunciando l’ipocrisia degli Stati Uniti.

Si tratta, però, di fatti dettati dall’emotività, da reazioni politiche senza andare oltre. In questo scenario di istituzioni che si delegittimano a vicenda, la Corte Internazionale di Giustizia ha dichiarato illegale l’occupazione israeliana e l’IAGS ha concluso che è in corso un genocidio.

Azioni separate, apparentemente incongruenti, lasciavano il mondo senza un’autorità chiara e senza voci veramente ascoltate.

La risposta belga

È stato allora che è intervenuto il Belgio. Il ministro degli Esteri, Maxime Prévot, inizialmente accusato di agire d’impulso, ha trasformato quella fragilità in un atto di coraggio politico. Annunciò che il 22 settembre, all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, il Belgio riconoscerà lo Stato di Palestina. Ma non si fermò lì.

Sotto la pressione di un’opposizione che lo accusava di improvvisazione, Prévot ha saputo unire i pezzi di un puzzle fatto di pareri giuridici, risoluzioni umanitarie e sanzioni parziali di altri Paesi, dando loro coerenza in 12 misure precise e coordinate.

Così, ha portato il Belgio all’avanguardia europea, dimostrando che un Paese piccolo geograficamente può guidare con coraggio, coerenza e visione giuridica.

Le 12 misure belghe

  1. Priorità all’aiuto umanitario
    Il Belgio partecipa alla missione Cerulean Skies 2, che ad agosto ha lanciato 190 tonnellate di cibo su Gaza con un Airbus A400M francese. Inoltre, assegna 12,5 milioni di euro aggiuntivi ai 7 milioni già previsti.

  2. Evacuazioni mediche di bambini vulnerabili
    In coordinamento con l’OMS e il meccanismo di protezione civile dell’UE, il Belgio ha già accolto pazienti due volte con l’aiuto del team B-FAST e continuerà a farlo.

  3. Sanzioni contro coloni violenti e membri di Hamas
    Gli estremisti israeliani e i membri di Hamas saranno dichiarati personae non gratae in Belgio, basandosi su liste UE, canadesi e britanniche.

  4. Sanzioni a due ministri israeliani
    Itamar Ben Gvir e Bezalel Smotrich, figure della destra radicale israeliana, vengono sanzionati. ONG belghe chiedono che anche Netanyahu e Israel Katz siano inclusi.

  5. Divieto di esportazione e transito di armi
    Il Belgio blocca esportazioni e transito di beni militari verso Israele, nonché di beni a duplice uso a destinazione militare. Un decreto in preparazione vieta l’uso dello spazio aereo belga per i voli militari israeliani.

  6. Divieto d’importazione dai territori occupati
    Il Belgio vieta l’ingresso di prodotti provenienti dagli insediamenti illegali, includendo servizi, esportazioni e investimenti correlati.

  7. Fine dei servizi consolari per coloni belgi
    I cittadini belgi residenti in colonie illegali avranno accesso solo all’assistenza di emergenza (incidenti, decessi), non a servizi amministrativi. L’Ufficio del Ministro degli Esteri spiega: «La situazione degli asentamientos nei Territori Palestinesi Occupati è unica. Abbiamo a che fare con un territorio in cui vivono belgi e che in seguito è stato occupato, se non ci sono belgi che decidono di stabilirsi lì come immigrati clandestini».

  8. Diniego di visti ai coloni israeliani
    Il Belgio valuterà di rifiutare visti di lungo periodo a cittadini israeliani residenti in colonie illegali.

  9. Procedimenti giudiziari contro cittadini belgi
    Il Ministero della Giustizia potrà disporre procedimenti contro belgi coinvolti in gravi violazioni del diritto internazionale umanitario, sia nell’esercito israeliano che in Hamas.

  10. Divieto di sorvoli militari
    Il Belgio rifiuterà automaticamente richieste israeliane di sorvolo militare sul suo spazio aereo finché durerà la guerra.

  11. Riduzione della dipendenza militare da Israele
    Il ministro della Difesa dovrà garantire che acquisti e manutenzioni evitino fornitori israeliani, rafforzando l’autonomia strategica belga ed europea.

  12. Vigilanza contro antisemitismo ed estremismo
    Si rafforzerà la cooperazione tra sicurezza dello Stato, Ocam e polizia. Giuristi avvertono però del rischio di eccessi rispetto alla libertà di espressione.

Un passo esemplare

L’azione belga ha spezzato l’indecisione europea. La sua forza risiede non solo nel coraggio, ma anche nella coerenza giuridica. Essendo tra i sei Paesi fondatori della UE e sede delle sue istituzioni, il Belgio ha segnato un percorso che potrebbe portare anche alla sospensione degli accordi con Israele.

Con queste 12 misure, il Belgio ha dimostrato che l’emotività può trasformarsi in diritto, e che la politica può applicare il diritto internazionale in modo coerente e coraggioso.

Come Magritte ci ha insegnato a guardare la realtà con occhi diversi, oggi il Belgio insegna all’Europa che la coerenza è anch’essa un’arte.