Vescovo Di Lugano: (Anche) In curia c’e’ del buono

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Ampia intervista a mons. Valerio Lazzeri, da un anno vescovo di Lugano, in occasione della ‘visita ad limina’ della Conferenza episcopale svizzera – L’incontro con il Papa: come proseguire il primo Sinodo sulla famiglia – La visita nei diversi dicasteri – Curia: immagine e realtà – L’inattesa e sostanziale rimozione, comunicata via ‘Osservatore Romano’, del comandante della Guardia Svizzera Daniel Anrig

Ordinato vescovo il 7 dicembre del 2013, monsignor Valerio Lazzeri è da un anno pastore della diocesi che comprende il Canton Ticino. Lo incontriamo presso la Casa Santa Marta, giunti ormai al termine della visita ad limina fatta dalla Conferenza episcopale elvetica a otto anni di distanza dalla precedente (sviluppatasi in due tappe, nel 2005 e nel 2006, prima con Giovanni Paolo II, poi con Benedetto XVI). Nato cinquantun anni fa nella Valle di Blenio, conseguita la maturità classica al Liceo di Bellinzona, monsignor Lazzeri entrò poi nel Seminario diocesano, che allora aveva sede a Friburgo. Licenziato in teologia nella locale Università cattolica, ordinato sacerdote nel 1989 dal vescovo Eugenio Corecco, proseguì gli studi a Roma presso il Teresianum (dottorato in teologia spirituale), poi ritornò brevemente nel Ticino come vicerettore e docente del Collegio Papio di Ascona. Dal 1993 al 1999 ha prestato servizio in Vaticano presso la Congregazione dell’educazione cattolica e nel decennio successivo, tornato in patria, è stato collaboratore parrocchiale a Locarno. Nel 2009 lo ritroviamo per circa un anno (sabbatico) nella Comunità di Bose, per un cammino di approfondimento spirituale. Dal 2010 è canonico del capitolo della cattedrale di san Lorenzo a Lugano, oltre che docente alla Facoltà teologica presso l’Università della Svizzera italiana. Il 4 novembre (san Carlo Borromeo), viene nominato vescovo di Lugano – succedendo a mons. Pier Giacomo Grampa – e il 7 dicembre successivo (sant’Ambrogio) riceve l’ordinazione episcopale. Sentiamo ora che cosa ha da dirci sulla settimana elvetica in Vaticano, che ha comportato anche qualche sorpresa…

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Monsignor Lazzeri, era la Sua prima visita ad limina da vescovo, insieme con un’intera Conferenza episcopale, da un Papa anch’esso nuovo. In sintesi che impressione ne ha ricavato?

L’impressione ricavata è molto positiva. Il clou della visita, come sempre in questi casi, è stato all’inizio, con l’incontro personale con il Santo Padre… un incontro speciale, un momento particolare un po’ per tutti: come i miei confratelli alla fine ero pervaso anch’io da una certa commozione.

Non c’è stato il discorso del Papa secondo tradizione…

E’ stato anche questo veramente sorprendente. Mi aspettavo che il Papa facesse in ogni caso un’introduzione come capita di solito, mettendo –diciamo così – un cappello ‘ufficiale’ alla visita, tratteggiando un quadro della situazione nel Paese e offrendo quegli spunti di riflessione necessari per poter svolgere al meglio la nostra pastorale. In realtà il Papa, che alla fine ci ha consegnato il testo scritto del discorso preparato per noi, ha ascoltato il breve saluto del nostro Presidente mons. Markus Buechel, poi ha subito sollecitato le nostre domande…

 

 

Ne ha poste anche Lei?

Ho chiesto soprattutto del seguito da dare nelle nostre diocesi alla riflessione svolta durante il recente Sinodo sulla famiglia. Il Papa nel suo discorso di chiusura del Sinodo ha chiesto che la riflessione continuasse in questo anno che ci manca prima della nuova assemblea dell’ottobre prossimo. A me ha risposto che è il Pastore diocesano stesso che deve trovare le modalità più incisive per tenere viva in questo periodo la riflessione sinodale nel proprio gregge.

 

Nella Svizzera tedesca l’anno che intercorre tra i due Sinodi sarà certamente anche un periodo di sostanziale ‘battaglia’ tra le diverse ‘anime’ del cattolicesimo alemannico. Lì la polarizzazione è molto forte in particolare sulle questioni che anche durante il primo Sinodo hanno suscitato dibattiti vigorosi, come ad esempio l’accesso ai sacramenti per i divorziati risposati…E nel Ticino?

E’ proprio quello che vorrei evitare. Il Papa usa un’espressione molto bella per connotare le caratteristiche della riflessione di quest’anno di preparazione al Sinodo del 2015: parla di “discernimento spirituale”…

 

Come si concretizza in pratica questo “discernimento spirituale”?

Non nella ‘battaglia’ cui Lei accennava prima in relazione alla Svizzera tedesca. Il Papa nel suo discorso di chiusura del primo Sinodo si è riferito alla prima assemblea di Gerusalemme, dove certo emergevano posizioni differenti, culture che si incrociavano, ma il tutto si svolgeva sotto l’egida dello Spirito Santo…

 

Sotto l’egida dello Spirito Santo… cioè in termini concreti?

La consapevolezza che ci si parla, ci si confronta, ma il vero lavoro si svolge prima di tutto interiormente cercando di capire, di discernere che cosa lo Spirito Santo ci chiede in questo momento storico. Il Papa questo lo dice molto bene, auspicando che ogni Pastore riesca a creare quegli ambienti di riflessione in cui il discernimento spirituale possa essere esercitato.

 

Si tratta in sintesi di creare le condizioni di una riflessione pacata…

Riflessione pacata sì, ma non soltanto. Occorre anche la consapevolezza che, quando ci si incontra tra cristiani, lo Spirito agisce nel cuore dei battezzati e, se sono aperti, li guida a cercare, a trovare quelle soluzioni concrete adeguate a rispondere ai problemi contingenti.

 

Altri argomenti sollevati dai Suoi confratelli durante l’incontro con il Papa?

Alcuni si sono riferiti ancora al Sinodo e alla sua prosecuzione diocesana. In genere direi che l’argomento principale è stato quello della trasmissione della fede, oggi, in circostanze difficili… come trovare i modi per raccontare il Vangelo suscitando la meraviglia degli uomini e delle donne del nostro tempo…Ci troviamo in un momento in cui la questione della trasmissione della fede si è fatta particolarmente acuta…

 

Anche nel canton Ticino?

Anche nel canton Ticino come dappertutto nel mondo occidentale. La questione è di fondo. Il Papa ha ben individuato l’esigenza di instaurare prima di tutto una relazione umanamente densa e significativa con chi deve assaporare la bellezza del Vangelo. Dalla gioia si può passare poi all’approfondimento che richiede la sequela del Signore.

 

Lei, monsignor Lazzeri, ha prestato servizio in Vaticano, presso la Congregazione dell’Educazione cattolica , dal 1993 al 1999. Oggi anche in tale Congregazione come nel resto della Curia Romana è tornato da vescovo nell’ambito della visita ad limina. Rispetto alla Curia degli Anni Novanta ha riscontrato delle differenze sostanziali?

Per il momento non ho riscontrato grandi differenze rispetto a quando ho lasciato la Curia nel 1999. Lì come allora lavorano tante persone che si impegnano con tutte le loro forze nel servizio della Chiesa e del Papa. Poi, come capita normalmente in tutti gli ambiti umani, persistono dinamiche che vanno probabilmente cambiate, risanate, dato che sono legate alle caratteristiche degli uomini quando lavorano insieme.

 

Il Suo è dunque un giudizio sostanzialmente positivo sulla Curia Romana…

Sì. Nei miei sei anni di servizio in Vaticano ho imparato ad esempio a pensare secondo una visione universale delle cose, tenendo conto di esperienze ecclesiali lontanissime dalla propria. A Roma questo respiro universale è presente, si sente. Contrariamente a quanto si pensa, nei dicasteri romani entra molta aria dal mondo; si arriva a Roma un po’ avviluppati nelle proprie esperienze personali e si scopre che ce ne sono molte altre diverse. Così spesso si dà anche la possibilità di sciogliere i propri nodi…

 

Come Lei ha ricordato, la Curia Romana ha da sempre un’immagine pubblica assai negativa, peggiorata ulteriormente in questi ultimi anni per i noti fatti: viene considerata da molti come un blocco immobilista, magari un po’ intrallazzatore, caratterizzato da meschine ambizioni carrieristiche…

Certo non posso negare che tali difetti siano presenti. Quello che vorrei sottolineare è la difficoltà di creare una struttura che sia al servizio di Pietro e della Chiesa e nel contempo valorizzi le tante culture presenti del mondo cattolico anche con una rappresentanza adeguata e competente a Roma. Rispondendo proprio a esigenze di universalità e di dialogo con il mondo poste dal Concilio ecumenico vaticano II, la Curia nei decenni scorsi è diventata più grande: pensiamo anche solo alla creazione dei Pontifici Consigli per il Dialogo interreligioso, per l’Unità dei cristiani, per la pastorale degli operatori sanitari, della Cultura, ecc… L’apparato si è di molto accresciuto e forse si è anche appesantito, però proprio per rispondere agli auspici del Concilio…

 

Papa Francesco vuole accorpare, ridurre i vari dicasteri…

Sì, certamente li vuole accorpare e ridurre… penso però che il suo intento principale sia quello di ri-centrare l’intera Curia attorno all’esigenza pastorale e missionaria. Lo vuole per tutta la Chiesa e la Curia non può restarne fuori. La sua sfida è quella di dare alla Curia, di per sé un organismo piuttosto stabile, una dinamicità nuova, propria della Chiesa “in uscita”. Lo Spirito lo aiuterà nell’impresa.

 

Le visite ai vari dicasteri, Congregazioni, Pontifici Consigli, sono state più di routine oppure hanno avuto momenti più ‘veri, di riflessione e discussione su problemi particolari elvetici?

Una certa ritualità persiste e va rispettata. Al di là di questo, sempre o quasi siamo arrivati a toccare problemi importanti e reali che riguardano la pastorale di ciascuno. La qualità dello scambio di esperienze è stata alta: i ‘curiali’ ci hanno ascoltato e hanno anche dimostrato una buona conoscenza della realtà svizzera, non solo presso il Pontificio Consiglio per l’Unità dei cristiani, dove con il cardinale Koch giocavamo in casa. Del resto anche il Papa ha risposto alle nostre domande con precisione, sviluppando in punti le sue risposte. Quando magari sembrava che avesse concluso la risposta e qualcuno di noi si accingeva a interloquire con una domanda nuova, ecco che ci frenava dicendo: “Non ho finito, ho ancora un terzo punto da spiegare”.

 

Nel bel mezzo della visita ad limina ecco la comunicazione tramite la prima pagina de L’Osservatore Romano della non-riconferma del comandante della Guardia Svizzera Pontificia, colonnello Daniel Rudolf Anrig…

La notizia era inaspettata e ha certo provocato sorpresa. Bisogna dire che il Papa non aveva ancora confermato dopo la sua elezione il comandante…

 

Come a tutti gli alti responsabili vaticani era stata concessa la proroga di un anno, in attesa della conferma definitiva. Per alcuni la conferma è arrivata, per altri no…

Non conosco i motivi della decisione riguardante il comandante della Guardia Svizzera. Certamente quanto accaduto non ha niente a che vedere con la nostra visita ad limina. Tutto è stato fatto senza che in nessun modo ne fossimo informati prima.

 

Monsignor Lazzeri, il 7 dicembre, sarà passato un anno dalla Sua ordinazione episcopale…l’aspetto che più l’ha colpita in questo primo anno da vescovo?

Direi la scoperta della gioia di poter essere Pastore di questa Chiesa. Tutti mi assalgono ricordandomi le tante difficoltà esistenti, i tanti problemi aperti, che non posso negare ci siano… Però ciò che prevale nel mio cuore è la gioia di poter annunciare il Vangelo in quella porzione della realtà svizzera che è il Ticino e di aver incontrato tante persone che hanno voglia di seguire il Signore e la Sua parola, ponendosi come fermento della bellezza dell’evangelizzazione.

 

 

L’INATTESA E SOSTANZIALE RIMOZIONE DEL COMANDANTE DELLA GUARDIA SVIZZERA DANIEL ANRIG

Papa Francesco ha accolto “con molta gioia” l’invito a una visita in Svizzera, magari cogliendo l’occasione dei 1500 anni dell’abbazia di Saint-Maurice, “impressionante testimonianza di vita religiosa ininterrotta, un fatto eccezionale in tutta l’Europa”. Naturalmente tempi e modi dipenderanno dalle priorità papali. Lo si è appreso da mons. Markus Büchel, presidente della Conferenza episcopale svizzera (Ces), durante la conferenza-stampa indetta alla fine della visita ad limina, presente un convitato di pietra, il comandante della Guardia svizzera pontificia (Gsp) Daniel Anrig sollevato dall’incarico a partire dal 31 gennaio.

E’ noto che la Ces ha reagito con amara sorpresa all’annuncio, contenuto in un freddo trafiletto de L’Osservatore Romano uscito martedì pomeriggio. Nel loro comunicato i vescovi hanno ringraziato Anrig (con la moglie) “per il suo prezioso servizio e la sua dedizione alla Chiesa, al Santo Padre e alla Guardia Svizzera”. Lo stesso giorno il portale cattolico tedescofono Kath.net ha titolato significativamente: “I vescovi svizzeri furiosi per la rimozione del comandante Anrig”. Che cos’è successo? Secondo fonti vaticane attendibili, il licenziamento va ricondotto in primo luogo alle tensioni tra Gsp e Gendarmeria vaticana (l’altro corpo di vigilanza) a causa della ridefinizione – a danno della Guardia – degli equilibri vaticani in materia di sicurezza, processo accelerato dall’elezione di Francesco (che risiede non più nel Palazzo apostolico, ‘giurisdizione elvetica’, ma a Santa Marta, zona della Gendarmeria). A ciò si è aggiunto il fatto che il Papa preferirebbe una Gsp meno militarizzata, forse ridotta a una funzione più decorativa che altro. Un’impressione derivata da vari indizi, il maggiore dei quali si ritrova nel discorso papale del 5 maggio scorso, il giorno prima del giuramento: Aveva detto allora tra l’altro Francesco: “La vostra divisa è un suggestivo tratto caratteristico della Guardia Svizzera e attira l’attenzione della gente. Ma ricordate che non è l’uniforme ma colui che la indossa a dover colpire gli altri per la gentilezza, per lo spirito di accoglienza, per l’atteggiamento di carità verso tutti”. Anrig ha spesso protestato con vigore in Segreteria di Stato per l’emarginazione crescente della Guardia. Il Papa ne ha allora deciso la rimozione. Anrig ha però lottato fino all’ultimo, rifiutando una risoluzione consensuale del servizio. Da ciò le quattro righe glaciali de L’Osservatore Romano. Gli altri rimproveri addebitatigli (“troppo severo”, “appartamento rinnovato e troppo grande”) – francamente di scarso peso (si pensi anche solo al fatto che la Gsp deve proteggere, anche se del caso a prezzo della vita, la persona del Santo Padre e che, per quanto riguarda la metratura dell’abitazione, il colonnello Anrig ha quattro figli) – hanno solo accresciuto la sostanziale incompatibilità tra lo stile pastorale del Papa e quello militare, data la natura del servizio, del Colonnello.

www.rossoporpora.org 

P.S. L’intervista e larga parte (per ragioni di spazio) del commento sul ‘caso’ del comandante della Guardia svizzera pontificia appaiono nell’inserto ‘Catholica’ del ‘Giornale di Popolo’ (quotidiano cattolico della Svizzera italiana) di sabato 6 dicembre 2014.