Chávez a cuore aperto. Por Simona Bottoni

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A tre anni dalla scomparsa del Presidente del Venezuela la proiezione a Roma del docu-film intervista realizzato da Gianni Minà nel 2003

Il 5 marzo scorso, in un piovoso sabato pomeriggio romano, il Teatro Vittoria ha registrato il tutto esaurito. Sul palco non c’era Vittorio Sgarbi, che pure su queste ribalte ci è passato con successo soltanto qualche giorno fa, ma l’Ambasciatore del Venezuela in Italia, S.E. Juliàn Isaìas Rodrìguez Dìaz, ed il giornalista esperto di America Latina Gianni Minà. In sala diversi politici, diplomatici ed esperti del subcontinente. E poi il pubblico, di giovani principalmente. L’occasione era nobile da una parte e dall’altra, a tre anni dalla morte del Comandante Hugo Chávez: per l’Ambasciatore, tenere vivo il ricordo di un Presidente che, seppur controverso, resterà nella storia del suo paese; per il giornalista, restituire almeno un po’ di verità sulla sua figura di uomo e di politico. Gli intenti si sono lodevolmente realizzati.

Schermata 2016-03-07 alle 09.44.55L’Ambasciatore Rodriguez Diaz accoglie i partecipanti sostenendo che “Oggi è un giorno di lutto ma anche di vita; di commemorazione ma anche di allegria e di lotta. Chávez ci ha detto arrivederci, ma è vivo in noi ed in voi in un messaggio storico permanente”. Non gli sfugge l’occasione per esprimere la sua opinione sulla situazione recente dell’America Latina: ”L’arresto di Lula, il miglior Presidente che il Brasile abbia avuto, solo per sentire una sua testimonianza; la propaganda contro l’Argentina; il boicottaggio contro Evo Morales che non potrà più candidarsi in Bolivia; tutto questo per isolare politiche che perseguono giustizia sociale e società di uguali. La lotta non può fermarsi, la lotta segue, Chávez vive”. Gianni Minà prende la parola per introdurre il suo docufilm: ”Dodici anni fa ero a Porto Alegre al Forum Sociale Mondiale – che si tiene ogni anno in contrapposizione al Forum Economico Mondiale di Davos – quando mi offrirono la possibilità d’intervistare Hugo Chávez. Lo descrivevano tutti come un personaggio da circo. Proprio per questo decisi di recarmi a Caracas per conoscerlo personalmente e farmi una mia idea su di lui. Incontrandolo ho capito quanto la stampa può falsificare le notizie. Ho capito che c’era una realtà che si stava affermando in America Latina: era il riscatto di un continente. E che, proprio perché si stava affermando, il riscatto doveva essere bloccato”. Lasciando spazio alla proiezione di “Chávez a cuore aperto”, Minà aggiunge: ”Con questa intervista credo di aver fatto il mio dovere di giornalista fino in fondo: non ho voluto inserire altro se non le parole di Chávez”. L’intervista è in 2 parti, per oltre 2 ore di girato. Chavez appare in piena forma, molto disteso ma determinato a far conoscere la sua verità, il suo Venezuela. “Sono la conseguenza di un’epoca, un uomo sempre in lotta a fianco della sua gente – dice di sé – sono una pagliuzza dentro l’onda della rivoluzione, parafrasando Bolìvar”. Quando parla dei venezuelani che lo hanno sostenuto dice: ”Penso che il popolo oppresso abbia diritto di ribellarsi a chi vuole affamarlo pur vivendo su un mare di petrolio”. E di sé e della sua rivoluzione che: ”I militari debbono impugnare le armi per garantire i diritti di tutti. Sia maledetto il soldato che rivolge le sue armi contro il suo popolo”. E poi: ”Negli anni ’90 abbiamo ereditato un paese in cui 15 milioni di abitanti su 25 erano poveri; 5 milioni di persone non erano mai state visitate da un medico e i figli non venivano accettati a scuola perché i genitori non erano conosciuti neanche all’anagrafe”. E prosegue: ”Abbiamo nazionalizzato una patria, un progetto nazionale, ma non abbiamo nazionalizzato le banche o il petrolio; semmai abbiamo evitato le privatizzazioni di questi settori, progetto iniziato dai governi che mi hanno preceduto e che non intendo portare a termine. Il nostro è un progetto dirompente che vuole abbattere la logica selvaggia del capitalismo” e su queste parole stringe al petto la Costituzione come modificata dal suo governo. E poi aggiunge che: ”Negli ultimi 50 anni un potere deflagrante ed egemonico è stato instaurato in America Latina; qui hanno sperimentato le cose più turpi del neoliberismo, spalleggiati dal FMI. Per questo motivo è in America Latina che cresce questo sentimento di riscatto, più che in altre parti del mondo: perché è la parte più ricca del mondo ed anche quella con le disuguaglianze più grandi”. Chávez,per chiarire meglio il concetto, racconta la storia di una donna indigena di un piccolo villaggio dove lui era in visita che l’aveva preso per il bavero della giacca davanti al corpicino del suo bimbo morto dicendogli: ”Comandante, mio figlio è morto di fame ed ora lo seppelliremo con una culla d’oro”. Spiegando che la donna viveva in un villaggio dove c’è oro ovunque si scavasse.

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Infine Hugo Chávez illustra l’operazione diplomatica realizzata dal suo governo in seno all’Opec, di cui il Venezuela fa parte, che ha consentito al paese di alzare il prezzo del barile di petrolio dai 14 USD del 1999 ai 23,3 USD del 2003: ”Coi nostri pressi bassi il Venezuela, dentro l’Opec, la stava distruggendo senza rendersene conto; che, poi, era ciò che gli USA ambivano accadesse. Così, ho deciso di incontrare tutti i capi di Stato e di Governo dei 12 paesi che ne fanno parte per ottenere diplomaticamente che il Venezuela potesse stabilire un prezzo adeguato, e ci sono riuscito. Prima di questa iniziativa, il Venezuela era fuori da un target ragionevole. Non si può regalare una risorsa, oltre tutto non rinnovabile, sulla quale si basa l’industria di tutto il mondo”. Quando Minà chiede a Chavez: ”Come finirà, Presidente? Finirà in un bagno di sangue?”, gli risponde: ”No, questa sfida non finirà in un bagno di sangue, ma in un bagno di amore dove tutti cammineremo tenendoci per mano verso un futuro migliore. Come disse Bolìvar a Joaquìn Mosquera sul letto di morte, Trionferemo!”. Ma il concetto forse più profetico Chavez lo esprime quando cita la Bibbia: “Tutto quel che deve accadere sotto il sole avrà la sua ora”, sostenendo di essere cattolico e di credere in Cristo che, a suo parere, “…è stato il più grande rivoluzionario della storia”.